La Stampa, 27 giugno 2017

Il Quizzone, la terza prova della Maturità, ci stimola a discutere dei metodi di insegnamento e della didattica. L’argomento non è dei più eccitanti rispetto alla frivolezza della cronaca politica, ma è molto importante. Riguarda il futuro dei nostri giovani. Meglio insegniamo, meglio apprendono, meglio saranno in grado di elaborare conoscenze nuove e quindi di comprendere e trasformare il mondo, per renderlo un posto più libero e prospero.

Fino ad oggi abbiamo snobbato l’argomento relegandolo a piccoli conclavi di esperti. Abbiamo preferito temi certamente importanti ma che riguardano poco i ragazzi, come la governance e la burocrazia della scuola. Anche quando si tratta di insegnanti lo abbiamo fatto in un’ottica sindacale ignorando la funzione stessa dell’insegnamento e il rapporto con i ragazzi. Ultimamente poi, ci siamo eccitati per la meritocrazia, e quindi per i metodi di valutazione, vedi l’Invalsi, senza porci la questione delle dinamiche che ci consentono di sviluppare le conoscenze che poi dovranno essere eventualmente valutate, cioè i metodi di insegnamento. Dal 2019 il Quizzone dovrebbe sparire per fortuna, ma la didattica resterà la stessa. La sostanza quindi non cambia.

Nel dibattito internazionale recente invece, si è andata rafforzando l’idea che l’opportunità di migliorare il sistema scolastico è da ricercare soprattutto nell’area più snobbata, proprio nei diversi metodi di insegnamento. La maggior parte della ricerca in questo settore è stata dedicata ai metodi di apprendimento attivo e alla comparazione di questi con il metodo tradizionale, quello della lezione frontale, dell’insegnante che trasferisce nozioni ai ragazzi che prendono nota, memorizzano e poi ripetono per la verifica (interrogazione). I risultati di queste ricerche dimostrano che i metodi per l’apprendimento attivo sono molto più efficaci. Nel contesto dell’apprendimento attivo gli studenti non sono passivi ma investono la maggior parte del loro tempo in attività che richiedono di processare attivamente ed implementare le informazioni che ricercano e (non solo) ricevono in una varietà di attività che coinvolgono anche le così dette soft skills, come l’affrontare problemi lavorando in gruppo. In questo contesto il ruolo dell’insegnante è profondamente diverso: non si limita a trasferire conoscenze e verificare che siano state raccolte per un breve tempo.
La ricerca ha ormai confermato che con il metodo tradizionale la performance dei ragazzi nei test diminuisce drammaticamente con il passare del tempo, cioè con lo svanire delle nozioni memorizzate.

L’insegnante è quindi chiamato a progettare le attività fornendo i problemi, gli strumenti e il supporto di cui i ragazzi possono avere bisogno. Diventa un leader, una guida, un motivatore, e soprattutto un provocatore che stimola il senso critico, mentre i ragazzi sono chiamati a risolvere problemi più che a ricevere informazioni generiche su come altri hanno risolto quegli stessi problemi. Questi nuovi metodi che auspichiamo, e che qui ho solo accennato per ragioni di spazio ma che vi invito ad approfondire, non sono molto distanti da metodi meno recenti ma per questo non meno efficaci quale il Montessori o lo Steiner. Muovono tutti dallo stesso problema, come migliorare l’insegnamento in funzione delle modalità di apprendimento dei ragazzi, osservandone le dinamiche naturali e la reazione agli stimoli.

Solo il metodo tradizionale, che coinvolge ancora la maggior parte delle nostre scuole, segue una strada diversa. Certamente, questi metodi di insegnamento sperimentali richiedono ingenti investimenti economici e in risorse umane, per esempio sono più efficaci con classi ristrette di studenti o addirittura in ambienti dove la classe tradizionale sparisce per lasciare spazio a gruppi cross-funzionali e generazionali. E’ giunto il momento di prenderci le nostre responsabilità e di coltivare metodi diversi, costi quel che costi. Le epocali trasformazioni che stiamo vivendo e le condizioni in cui versa il Paese, oltre che le dinamiche sempre più evidenti con cui i ragazzi apprendono, ce lo impongono.

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PNR