di Raffaello Morelli

Va di gran moda disperarsi per il pericolo populista. Eppure il pericolo reale non è il populismo in sé ma ciò che lo provoca, cioè la pessima gestione pubblica. Tanti elettori esasperati sono disposti a tutto  pur di liberarsi di chi gestisce le istituzioni per sé e non per i cittadini. Per  combattere il populismo, occorre cominciare dal combattere la pessima gestione. Di cui un carattere grave è la mancanza di trasparenza. Che nasconde ai cittadini i dati per valutare il comportamento di chi li rappresenta e che intesse una cortina dietro cui può succedere ogni cosa.

Prendiamo una scadenza in corso, il salvataggio del Monte dei Paschi.  Di recente il governo italiano ha avuto il sospirato via libera UE per arrivare al fabbisogno di capitale del MdP stimato in 8,8 miliardi tramite una ricapitalizzazione preventiva di 6,6 miliardi senza violare il divieto di aiuti di Stato. Qui sorvolo sulle condizioni imposte dalla UE (conferma BCE della solvibilità MdP,  vendita di 26 miliardi di crediti deteriorati a circa un quinto del facciale per limitare le perdite aziendali,   tetto  di 10 al rapporto tra stipendi degli alti dirigenti MdP e quelli medi dei dipendenti), essendo aspetti tecnici pur importanti. Mi soffermo su un aspetto decisivo per il presente articolo. La somma di quanto erogato nell’ultimo decennio porta  il Tesoro a detenere oltre il 70% del capitale MdP. Nell’ottica liberale non entusiasma. Eppure il disastro economico fatto dai gestori della banca (targati sinistra, DS, Margherita e poi PD) avrebbe avuto conseguenze assai peggiori per tutti, se lo Stato non fosse intervenuto. La questione sta sul come i cittadini riescono a conoscere il mondo MPS di proprietà pubblica per tre quarti. E’ un punto non eludibile nella prospettiva di combattere la  troppo opaca trasparenza. Perciò è urgente accogliere la richiesta di conoscere i primi cento debitori del MPS, avanzata da tempo dal Presidente della Toscana, dal Presidente dell’Associazione Bancaria e dall’economista Zingales. Con FI al Senato che ha detto no a votare la ricapitalizzazione preventiva senza conoscere già quei nomi.

Su tale richiesta c’è stato un fuoco di sbarramento fitto. Soro, dell’Autorità per la Privacy, PD cattolico chiuso,  ha sbandierato la necessità di non violare la riservatezza delle persone fisiche richiedenti un prestito. Con ciò confondendo  i cittadini qualunque con i massimi debitori di un istituto da salvare con i soldi dei cittadini. E due diversi  economisti su due quotidiani di impostazione contrapposta (in teoria), il Fatto e l’Inkiesta, hanno svolto considerazioni analoghe, in sostanza basate sul concetto che conoscere i nomi creerebbe capri espiatori, non coglierebbe le responsabilità dei bancari, non spiegherebbe il quadro economico generale degli avvenimenti. L’importante sarebbe identificare un quadro di responsabilità, anche se difficile quando i principali insolventi sono condivisi tra più istituti. Queste considerazioni non colgono che la richiesta dei 100 nomi grandi debitori non rientra nel polverone giustizialista per affidare ai giudici il compito di sciogliere i nodi penali. Non si capacitano che in un paese ove né le Regioni , né l’ABI, né gli economisti, né tanto meno i cittadini dispongono dei flussi in essere dei dati creditizi (disponibili invece per Banca d’Italia ed organi di vigilanza bancaria), la richiesta serve per dare agli italiani un quadro veritiero di come girano i meccanismi finanziari  e di quali sono le reti effettive di amicizie e di interessi. In altre parole la richiesta dei 100 nomi serve a dare quella trasparenza che non c’è e che è indispensabile quando il gestore è pubblico e si usano  soldi dei cittadini.  Le responsabilità penali non c’entrano. L’obiettivo è migliorare la capacità di giudizio degli elettori anche in assenza di reati. Nella democrazia liberale, il privato non ostacola il cittadino nell’esprimere il suo giudizio civile avendo la massima conoscenza dei fatti.

In materia di trasparenza, un passo avanti importante c’è stato nelle ultime ore con la legge istitutiva della bicamerale di indagine sulle banche. Comprenderà 20 senatori e 20 deputati, durerà un anno e alle sue indagini non sarà opponibile nessun segreto, né d’ufficio, né bancario, né professionale. Ciò in riferimento agli istituti in crisi o finiti in campo pubblico o già sottoposti a risoluzione. Dunque, l’ambito è molto più vasto della richiesta di conoscere i cento nomi dei grandi debitori di MPS. Tuttavia è un ambito assai più complesso, più specialistico e con tempi assai più lunghi (le conclusioni verranno dopo le elezioni politiche). Ne consegue che la bicamerale non intacca la richiesta sui cento grandi debitori di MPS. Che  è un tassello di rilievo nella capacità civile di comprendere ciò che avviene nei veri rapporti e nei reali comportamenti dei coinvolti. Tanti nomi sono circolati, sarebbe essenziale esser certi.

Tra i nomi circolati ne spiccano almeno due. La società Sorgenia della famiglia De Benedetti  ha lasciato 600 milioni di debito, inducendo MPS a  convertire i crediti in azioni dell’azienda e a gestirla (dunque una sorta di cessione programmata). E poi il gruppo Marcegaglia, di cui si dice sia il primo debitore MPS, per più di 2,1 miliardi.  Il gruppo Marcegaglia fa capo ai fratelli Emma e Antonio alla pari  , tra i quali Emma, la maggiore, dopo essere stata dal ‘04 al ‘12  vice e poi Presidente di Confindustria, è stata nominata Presidente ENI ad aprile ‘14  confermata  nel ‘17. In questo ruolo ha potuto presentarsi ai banchieri nella duplice veste di debitrice con l’acqua alla gola e di cliente da sogno. Nella  veste ENI, a primavera 2016, ha guidato le industrie pubbliche ad eleggere sul filo di lana il nuovo Presidente di Confindustria, subito schieratosi, grato, in appoggio alla proposta oligarchica di riforma della Costituzione voluta dal governo. In questa primavera, il gruppo Marcegaglia, in quanto industria italiana, ha fatto parte insieme alla Banca Intesa della cordata franco indiana cui il governo, i primi di giugno, ha assegnato la siderurgia ILVA, nonostante le ritrosie dell’Antitrust UE, il parere negativo dei tecnici e la presenza di un’altra offerta superiore. Le ragioni dell’operazione sono divenute subito chiare poiché il gruppo Marcegaglia sta per cedere gran parte della propria quota nella cordata alla Banca Intesa a scomputo del grosso debito. In conclusione, assegnare l’ILVA ha soddisfatto le esigenze finanziarie di una fedele seguace.

Si vede dunque che avere i nomi certi dei 100 grandi debitori del MPS serve non a cercare capri espiatori di reati inesistenti, bensì per rendere trasparenti,  quando lo Stato salva il MPS,  i criteri di gestione di quel mondo, i nomi coinvolti e il grado di credibilità di chi promette a parole rinnovamento e pulizia. I 100 nomi sarebbero un passo concreto per combattere il populismo e la disaffezione alla politica.

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PNR