Perché è ingiusto demonizzare il cibo industriale - HuffingtonPost - Pietro Paganini
Perché è ingiusto demonizzare il cibo industriale – HuffingtonPost – Pietro Paganini
La distinzione tra cibo “naturale” e “ultraprocessato” è concettualmente errata. Risulta dunque ingannevole, poiché presenta al consumatore una visione distorta della realtà. Non è una semplice rappresentazione, ma una mistificazione. Due questioni su cui riflettere.
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Perché è ingiusto demonizzare il cibo industriale

Si sta diffondendo l’abitudine di categorizzare il cibo in “naturale”, associato a fatto in casa o raccolto direttamente dalla terra – e pertanto legato a concetti di salute, biologicità e autenticità – e il cibo “trasformato” o “ultraprocessato”, associato invece a produzione industriale e, di conseguenza, a nocività, adulterazione e artificialità. Il cibo prodotto industrialmente è spesso confuso con il cosiddetto “junk food” o cibo spazzatura.

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Si sta diffondendo l’abitudine di categorizzare il cibo in “naturale”, associato a fatto in casa o raccolto direttamente dalla terra – e pertanto legato a concetti di salute, biologicità e autenticità – e il cibo “trasformato” o “ultraprocessato”, associato invece a produzione industriale e, di conseguenza, a nocività, adulterazione e artificialità. Il cibo prodotto industrialmente è spesso confuso con il cosiddetto “junk food” o cibo spazzatura.

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Questa dicotomia viene frequentemente usata per giustificare problemi come la sovralimentazione, l’obesità e le malattie non trasmissibili. Viene quindi sfruttata a fini commerciali e politici per orientare i consumatori verso prodotti naturali piuttosto che industriali, credendo che siano più benefici per la salute e possano contribuire a superare le sfide poste da un problema sempre più serio: la cattiva alimentazione. Queste sono supposizioni fuorvianti che non daranno frutti. Le cause della cattiva nutrizione sono molteplici e molto complesse.

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La distinzione tra cibo “naturale” e “ultraprocessato” è concettualmente errata. Risulta dunque ingannevole, poiché presenta al consumatore una visione distorta della realtà. Non è una semplice rappresentazione, ma una mistificazione.L’individuo viene tratto in inganno attraverso la classica dialettica del materialismo storico, che propone l’opposizione tra cibo naturale e salutare, da una parte, e cibo industriale e dannoso, dall’altra. Da qui l’efficacia comunicativa della polarizzazione tra cibo “buono” fatto dal lavoro di artigiani e contadini e “cattivo” dall’industria alla ricerca di profitti.

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Dobbiamo riflettere su due questioni e provare a risolverle per dimostrare l’ingannevolezza di questa inutile categorizzazione:
• La distinzione tra cibo naturale e ultraprocessato aiuta concretamente a differenziare gli alimenti benefici da quelli dannosi?
• I consumatori sono così vulnerabili di fronte alle industrie che offrono cibo ultraprocessato?
La categorizzazione degli alimenti basata sul livello di lavorazione, come suggerito dal sistema Nova, una classificazione che pretende di ordinare gli alimenti in base all’intensità della trasformazione a cui essi sono stati sottoposti, fornisce una visione errata del cibo industriale e idealizza il cibo naturale.

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La salubrità o pericolosità di entrambi non dipende dal numero di ingredienti presenti, ma dal loro apporto calorico e dalla qualità dei nutrienti rispetto alla quantità consumata. La presenza di vari nutrienti, infatti, può innalzare il rischio di avere cibi troppo calorici. D’altro canto, può aumentarne la salubrità e la conservabilità, riducendo così gli sprechi alimentari. Un alimento naturale può anche rivelarsi poco indicato per la salute, avere una breve durata e fornire un eccesso di calorie se inserito in una dieta non equilibrata.

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La salubrità di un alimento non è determinata dalla sua lavorazione, ma dalla sua composizione e dall’apporto calorico in relazione alla dieta del singolo individuo.
Il cibo industriale è sicuramente studiato per piacere e soddisfare la psiche dei consumatori, ma è anche il risultato di decenni di investimenti e ricerca per meglio combinare salute, piacere, e fabbisogno calorico. Si chiama innovazione!
Si conclude così che l’espressione “cibo ultraprocessato” non ha alcun valore oggettivo, senonché fornirci il conto dei nutrienti presenti in una formula. Non ci presenta alcun valore calorico, né tantomeno le conseguenze che causa nel soggetto che lo assume.
Piuttosto, ha un forte impatto emotivo e viene utilizzata a scopi commerciali e politici per influenzare le decisioni dei consumatori, fornendo loro uno slogan invece delle informazioni dettagliate sui nutrienti presenti.

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Dovremmo preoccuparci delle porzioni e della disponibilità del cibo industriale, ovvero della sua accessibilità. Il cibo naturale è meno accessibile rispetto a quello industriale (non fa economia di scala, costa, ha problemi logistici e di produttività), ma presenta lo stesso problema delle porzioni.
Il vero dilemma per i consumatori non sono le aziende di produzione rispetto ai piatti tradizionali, ma coloro che tendono a classificare gli alimenti in “buoni” e “cattivi”. Questi ultimi ritengono che i consumatori non siano in grado di fare scelte informate e cercano quindi di influenzarli.
I consumatori devono avere la possibilità di acquisire conoscenze e fare scelte consapevoli e, di conseguenza, libere.
Senza cibo industriale non si sfamerebbero 8 miliardi di persone.

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PNR