L’arroganza e il delirio di onnipotenza segnano il punto di non ritorno verso la sconfitta

di Lucrezia Vaccarella

Non è un scena di “Gomorra” la nota serie televisiva, ma saremmo tentati di pensarlo per quanto è stramaledettamente cruda, convincente e vera. Perché, purtroppo è vera, e ci racconta di un mondo che, fino a quando quelle immagini non hanno invaso il web, era sconosciuto ai più.

Sto parlando del video nel quale un audace giornalista incalzava con domande provocatorie un bieco personaggio il cui nome è assurto oggi agli onori della fama.

Il Carneade redivivo si chiama Roberto Spada e l’immagine di sé che trasmette al mondo è quella di un essere rozzo, che alle domande del giornalista risponde dapprima con un refrain, degno di una parodia rap, di successo, Nun me ne fotte un c. “ poi con una capocciata (un emulo di Zidane?) seguita da colpi, inferti al malcapitato, con un manganello. 

Bel problema per il Neandertaliano, una manganellata, virtuale, ma molto più incisiva, a se stesso ed ai suoi sodali, parte dei quali già ospiti delle patrie galere. Ora che i riflettori si sono accesi protezioni e connivenze si sono già ritratte e anche a lui ha aperto le porte il Grand Hotel Regina Coeli.

E’ proprio vero:  l’arroganza e il delirio di onnipotenza segnano il punto di non ritorno verso la sconfitta: un personaggio tristemente noto solo a livello locale, abitante in uno dei tanti quartieri “off limits” che l’Italia ha creato, oggi ha un volto pubblico ed è  impresentabile.

Gli stessi atteggiamenti che, qualche anno fa, hanno condotto alla cattura di un ben più noto e potente boss camorrista, Michele Senese. Conoscevo il suo nome, poi, una sera, in un locale romano, l’ho visto entrare, circondato da guardie del corpo: non avevo mai incontrato uno sguardo così gelido e istintivamente ho avuto un brivido. Era paura, primordiale e istintiva. Ho chiesto chi fosse ad un amico e lui, di rimando: ma come, non lo hai riconosciuto, è Michele Senese, ricercato per omicidio e noto boss camorrista. All’inquietudine è subentrato un moto di rabbia: com’era possibile che quell’individuo, latitante da tempo, fosse tranquillamente seduto, circondato dai suoi tirapiedi, al tavolo di un piano bar e, senza timore di essere scoperto, dispensasse flutes di champagne con fare tipico di un padrino “de no’antri”

E’ andato via dopo neppure un’ora e, trascorsi pochi minuti, nello stesso locale sono entrati due giovani uomini i cui abiti borghesi non riuscivano a mascherare l’appartenenza all’Arma. Che tempismo eccezionale!

Ma il delirio di onnipotenza e la certezza di essere inafferrabile, dopo qualche mese, lo hanno portato dritto tra le braccia dei carabinieri mentre, in pieno giorno, circolava in auto nei pressi di Ciampino.

E non ci saranno altre perizie psichiatriche compiacenti a tirarlo fuori dal carcere.

In entrambi i casi emerge un aspetto della personalità criminale che trascende la tipizzazione operatane dalle diverse edizioni del manuale diagnostico dei disturbi mentali (DSM) o la misura della propensione a delinquere correlata a specifici fattori ambientali.

Sembrerebbe trattarsi di una nuova forma di “superomismo” rivelato dalla, ostentata, noncuranza delle norme di legge condotta fino al punto in cui la presenza di un pubblico è la ragione stessa del compimento di un’azione criminosa.  

A quanto pare, anche i delinquenti “dop” sono vittime dei reality show o, con maggior probabilità, della serie televisiva tratta dall’omonimo “Romanzo Criminale “scritto dal Giancarlo De Cataldo: ne sono protagonisti Libano, Freddo Bufalo e altri emarginati che nessun potere o ricchezza è riuscito a strappare dal degrado che li ha partoriti.

Oggi hanno altri nomignoli ma il destino che li accomuna ai predecessori è lo stesso: saranno famosi, forse… ma sono e saranno perdenti, sempre.

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PNR