di Silvia Ferrara
L’ambiguità tra bellezza e terrore si dispiega dialetticamente in tutte le forme artistiche, colorando due facce della stessa medaglia declinate in linguaggi diversi, come poesia, musica o pittura. Ci sono dei momenti, però, in cui le sfumature e i suoni di questa tensione convergono, e creano scintille. Forse è un retaggio della nostra cultura classica, un’idea molto greca e profonda: la bellezza non è altro che terrore. Qualunque cosa si definisca come ‘bella’ è destinata a darci i brividi. Un esempio universale di questo è l’inno alla gioia, tra Schiller, Beethoven, Klimt, e Kubrick.
Nell’arte poetica, l’Ode ‘An Die Freude’ di Schiller gioca tra gli interstizi dell’ambiguità tra armonia e violenza, sottintendendo che l’invocazione alla fratellanza è il risultato di un’imposizione del nuovo ordine, una tabula rasa nata dalla rottura totale. E’ una gioia aggressiva, reduce di un atto violento.
Beethoven questo l’aveva capito. La sua Nona Sinfonia, che mette in musica le parole di Schiller, dissolve nel suo ultimo movimento, nel suo grido di giubilo, nel suo bacio finale rivolto a tutto il mondo, uno strillo dissonante che Wagner aveva definito ‘fanfara del terrore’. Il baritono che in recitativo chiede a chi lo ascolta di lasciare indietro il caos violento per dare spazio alla comunità dei fratelli, disvela lampantemente il tono violento che Schiller voleva celare. E’ un finale stranissimo, che sovverte i temi formali, con il suo coro inaspettato e stentoreo. Una violenza intensamente ambigua. 
E Klimt nel suo enorme fregio dedicato a Beethoven al Museo della Secessione a Vienna, con i toni eterei dei suoi pastelli e dei suoi ori, mette in immagini la stessa tempesta del mondo, immersa in perigli, tra Gorgoni e figure mortifere e mostruose. L’uomo si redime, si salva e si scioglie in un abbraccio liberatorio solo attraverso l’intervento dell’arte. Come a dire che l’opera di arte totale, come il mondo tutto, nasce e rinasce nella violenza. 
Queste rappresentazioni non sono solo un anelito artistico romantico. Sono diventate, purtroppo, ritratti sfruttati in istanze politiche, prese a messaggio di legittimazione ideologica. Non è un caso che sia la Nona sia l’Ode siano state usate e abusate dal Keiserreich tedesco, dalla Repubblica di Weimar, dalla Germania riunificata (Leonard Bernstein che dirige la Nona a Berlino dopo la caduta del muro!). Facile sfruttare la duplicità dell’inclusione/esclusione, della violenza/armonia, della bellezza/terrore. Facile rendere la complessità di tutto questo facile. Kubrick in Arancia Meccanica sfrutta, beffeggia e esaspera lo stesso messaggio, ma almeno lo capisce, mettendo in sottofondo a una scena di raccapricciante violenza gratuita il secondo movimento della sinfonia di Beethoven. 
La comunità europea è l’ultima usurpatrice, nella sfilza di sfruttatori politici dell’inno e del suo messaggio. Che ne abbia capito l’ambiguità, l’orrore estatico, l’aggressione visiva, auditiva e letteraria è un altro discorso. L’unità invocata, la sua strana, incoerente utopia, non possono funzionare, a questo punto, se non in veste artistica. Possono solo essere travisate, invece, da chi fa politica. Inutile inneggiare e invocare armonia universale usurpando musiche o parole che esprimono ben altro. 
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PNR