Anche YourAcademy crede in PNR. Un ringraziamento particolare a Fabio Scognamiglio e al suo team per il sostegno a quella che sta diventando una nuova iniziativa editoriale. Con il PNR39 dedicato alla Violenzavs. Regole, anche noi vogliamo contribuire allo splendido lavoro del CNAC – Centro Nazionale Anti Cyberbullismo – ospitandone un intervento. 

Quanta violenza c’è nel mondo attuale? La violenza intorno a noi è aumentata. O forse è una percezione errata. I numeri sono quelli di sempre, nella media. Piuttosto cambiano le situazioni. La nostra impressione è amplificata dai media, nella loro disperata ricerca di un’audience che ne giustifichi l’esistenza, e in molti casi, il narcisismo patetico dei suoi autori. E’ tuttavia indubbio che il rifiuto della violenza nel convivere ha finito per divaricarsi parecchio: 

– Da una parte il rifiuto della violenza in nome dell’utopia e del bene assoluto, dal consenso tra tutti, dal comune riconoscersi in una verità trascendente a titolo religioso od ideologico, 

– Dall’altra il rifiuto della violenza (privo di utopia) che della violenza contesta la legittimità costruendo un meccanismo duttile che la circoscriva e ne inibisca l’uso nelle dure relazioni della vita tra una miriade di esseri umani diversi e di materiali con tantissime caratteristiche. 

PNR ovviamente sceglie questa seconda strada ma il clima mediatico continua a percorrere la prima.

Ciò non  impedisce a PNR di avvertire che sotto il profilo emotivo i fatti quotidiani ci sono. Las Vegas, Barcellona, gli omicidi, gli stupri ignobili su donne e bambini, la rabbia contro il diverso, il senso fastidioso di scarsa sicurezza, e così via. Però è un grave errore cedere all’emotività e distorcere la realtà pensando che la violenza siamo noi, le istituzioni che abbiamo costruito per proteggere la nostra convivenza, la burocrazia, il fisco, la scuola con le sue interrogazioni e quelle lezioni frontali in cui riversa nozioni sui bambini , le stesse regole del vivere comune.

Il modello dello zoon politikon rinascimentale, cioè dell’uomo (non ancora cittadino) votato alla polis e alla società non trova riscontro nella realtà delle cose. Homo Homini Lupus è la più pragmatica comprensione della realtà. Per Hobbesla competizione per la sopravvivenza è causa di violenza. Dunque non va cercata la colpa della violenza che èsemplicemente un dato di fatto della realtà. E’ il Leviatano, cioè lo Stato, inteso per la prima volta nella storia come comunità di cittadini, che si da la regola di essere il solo a poter esercitare la violenzaE come lo fa? Attraverso le leggi e la penaChe all’opposto di quello che sostiene chi si oppone alla violenza in nome dell’utopia, non manifestano violenza ma regole da rispettare per costruire di continuo un sistema che circoscriva la violenza togliendole arbitrarietà. Lo Stato, in quanto Sovrano, ha questa facoltà.

Per Benjamin, “solo lo Stato ha un suo diritto all’uso della violenza”. Ogni ordinamento giuridico si fonda sul rapporto più elementare tra fini e mezzi. Nel tempo i fini si allontanano sempre più dalla violenza e lo stesso fanno i mezzi, i quali però tendono a ricordare che la vita sociale non è mai un bene e richiede almeno il rispetto delle regole scelte, una sorta di proiezione della durezza dei vincoli naturali. Sembra un assunto semplice che facilita qualsiasi analisi critica. La questione dunque  si sposta sui fini, giusti o sbagliati.Ma rispetto all’epoca di Hobbes, il vorticoso confliggere tra le idee e le iniziative dei cittadini ha mostrato che la scelta dei fini non è un mero problema morale né è bene riconoscerla direttamente allo Stato. Occorre riservarla alle scelte che i cittadini fanno votando, che sono sempre provvisorie e revocabili in base ai risultati, e che l’esperienza ha mostrato essere molto efficaci per migliorare le condizioni del convivere. Scegliere i fini attraverso il darsi regole di convivenza, ha sfoltito enormemente il livello, l’estensione e l’arbitrarietà dell’uso della violenza nell’ambito di una società civileMa anche così non dobbiamo cancellare la memoria della durezza dei rapporti di fondo del vivere. Che richiedono appunto conoscere di più, lavorare tanto e non consumare irresponsabilmente ciò che abbiamo ottenuto con il lavoro, adeguare le regole per normare la composizione del disaccordo.

Il 2 Ottobre abbiamo celebrato Gandhi che della non violenza fece una forma di disobbedienza. Eppure anche la non violenza di Gandhi fuori del contesto resta anch’essa di fatto, una violenza. Il punto è quello di valorizzare il disaccordo, il conflitto democratico tra i diversi punti di vista.

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