di Giorgio Donegani

Un tempo l’etichetta considerata come la “carta d’identità” dei prodotti alimentari. Oggi il paragone avrebbe poco senso perché, con i diversi provvedimenti legislativi susseguitisi nel tempo, si è talmente arricchita di informazioni da assomigliare più a un vero e proprio currriculum vitae.

Fin dagli anni ’60, l’etichetta ha sempre avuto lo scopo di dare ai consumatori le informazioni utili per valutare la qualità dei prodotti e favorire il loro migliore utilizzo. Ed è proprio l’evolversi stesso del concetto di qualità (in risposta ai nuovi bisogni della popolazione) alla base del progressivo arricchirsi di informazioni dell’etichetta, con il problema di garantirne comunque la leggibilità, e di evitare che la completezza si possa tradurre in una complessità tale da vanificare l’efficacia dell’etichetta stessa.

Oggi la qualità degli alimenti è vista come la somma di fattori legati non soltanto alla sicurezza e alla “bontà”, ma anche al valore nutritivo, alla sostenibilità (non solo ambientale) e al rispetto di principi etici. Ecco allora che a fianco dei riferimenti ai produttori, all’elenco degli ingredienti e all’indicazione della scadenza (ritenuti inizialmente i focus principali),  sono via via comparse altre indicazioni: l’elenco degli allergeni, la composizione degli ingredienti complessi, la dichiarazione nutrizionale, sino all’indicazione dell’origine dell’ingrediente fondamentale e, in alcuni casi, alle modalità di ottenimento dei prodotti (per esempio, il primo numero del codice stampato sulle uova permette di sapere in che modo sono state allevate le galline). Sicuramente ciascuna delle informazioni presentate incontra esigenze e sensibilità particolari e spesso diffuse, ma l’insieme rischia di disorientare la maggior parte delle persone.

Questo rischio ha favorito l’uso strumentale di claim che, nella percezione del consumatore, finiscono per diventare garanzie di una qualità complessiva, anche se evidenziano solo aspetti particolari e non sempre significativi. “Senza glutine”, “senza lattosio”, “senza olio di palma”, “senza zuccheri aggiunti”…  non significa per forza “migliore e di qualità”, anzi, non sono rari i casi in cui il “senza…” mascheri carenze dalle quali si vuole distrarre il compratore. Il glutine va evitato da chi non lo tollera, ma è utile alle altre persone, così come l’eliminazione dell’olio di palma  è accettabile solo se viene sostituito con grassi migliori… E gli esempi potrebbero continuare, ma una cosa è evidente: l’etichetta non può più essere considerata l’unico elemento sul quale insistere per diffondere la cultura di un sano rapporto con il cibo. Occorrono strumenti di presentazione  nuovi e la tecnologia potrebbe oggi giocare un ruolo fondamentale nel promuovere atteggiamenti di vera consapevolezza.

Giorgio Donegani è tecnologo alimentare, esperto di nutrizione e di educazione alimentare

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