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Serve Ancora la Scuola? – Linkiesta – Pietro Paganini

Con il nuovo anno il Governo, i partiti, le organizzazioni sociali o intermedie, ma soprattutto i cittadini, dovrebbero interrogarsi sul ruolo della scuola e del più generale sistema dell’educazione e della formazione. In un contesto in cui la pandemia ha accelerato la trasformazione del mercato del lavoro, mentre la globalizzazione e l’esponenzialità tecnologica stanno trasformando radicalmente le relazioni sociali, la Scuola sembra essere obsoleta. Cosa possiamo are per cambiarla? 
Questi sono gli argomenti del mio commento per Linkiesta che puoi leggere qui sotto o qui sul portale de Linkiesta >>>
 

Serve Ancora la Scuola?

Il cambiamento radicale del mercato del lavoro che la Pandemia ha contribuito ad accelerare esponenzialmente dovrebbe motivarci a riformare la Scuola e più in generale il sistema dell’educazione e della formazione. 
Non si tratta della solita riorganizzazione burocratica e della revisione dei rapporti sindacali a cui siamo sfortunatamente assuefatti e che hanno prodotto scarsi risultati, ma della più profonda trasformazione della didattica da cui dipendono i processi di apprendimento. 
Per sopravvivere e quindi governare  la complessità delle interconnessioni della società globale e la singolarità – o esponenzialità – tecnologica i cittadini devono continuare a maturare conoscenze e apprendere competenze nuove. 

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In questo contesto in cui le relazioni sociali mutano costantemente la conoscenza e le competenze non possono considerarsi fisse, o quantomeno definitive. L’unica costante può essere solo il senso critico con cui si apprendono conoscenze e competenze. Il senso critico è il fattore fondamentale del metodo sperimentale della scienza. Senza di esso la Scienza si limiterebbe – come troppo spesso succede – a riprodurre una serie di teorie che rispondono al medesimo paradigma. Si tratta della scienza come dogma. Abbiamo invece bisogno di un metodo scientifico che smonti i dogmi.

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  • Il senso critico è perciò il fattore che il sistema della Scuola e dell’educazione devono coltivare in ciascun cittadino. La scuola non si deve tanto preoccupare di trasferire i contenuti da apprendere, ma di insegnare ad apprendere quelle conoscenze e competenze che mutano costantemente nel tempo. 
  • Imparare a imparare attraverso il senso critico del metodo sperimentale della scienza dovrebbe essere il punto di partenza su cui possa poggiare la riforma del sistema dell’educazione. 

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Da qui deriva anche che non possiamo limitarci alla scuola come unico momento e luogo dell’apprendimento delle conoscenze e delle competenze. Si continua ad apprendere ben oltre l’età scolastica – formazione continua o long life learning. Si apprende in ambiti molteplici, spesso in modo molto più efficiente di quanto avvenga a Scuola. 
Nel contesto del mercato del lavoro – che riguarda l’età post scolastica – i cittadini si sono attrezzati come imprenditori e come utenti – con una moltitudine di strumenti, tecniche e metodi, per elaborare, divulgare e apprendere conoscenze e competenze. 
L’organizzazione scolastica – che comprende la scuola dell’obbligo e la scuola che fornisce titoli di studio con valore legale – è rimasta pressoché – fatte le solite eccezioni, più che di circostanza che di sostanza – immobile e immune alle trasformazioni sociali. 

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Prima di tutto dobbiamo chiederci con coraggio, e con altrettanto coraggio aprire una discussione, se il sistema scolastico così come è strutturato oggi ha ancora senso. 
  • Se è didatticamente in grado di rispondere all’obiettivo di aiutare gli individui a imparare come imparare attraverso il senso critico. 
  • Se è in grado di stimolare all’apprendimento o meglio all’elaborazione di nuove conoscenze. 
  • E se è sufficientemente adeguata a rispondere non tanto alle sfide del mercato del lavoro ma delle trasformazioni che stanno profondamente cambiando i rapporti sociali. 

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Probabilmente la risposta è negativa. No. È certamente una scuola ricca di conoscenze e competenze, spesso del passato. Ma è una scuola povera di quel senso critico che serve a dare dignità a quelle medesime conoscenze del passato e a elaborare quelle del futuro. 
 
Certamente, vogliamo abolire il valore legale del titolo di studio (già Einaudi), i concorsi per accedere al ruolo di insegnante, ripensare il ruolo dell’insegnante, riformulare i calendari scolastici adeguandoli ai cambiamenti del mercato del lavoro e a un nuovo welfare di cui quel mercato necessità e che i cittadini meritano, rendere il tempo prolungato obbligatorio ma ridurre la durata di ciascuna ora, abolire i compiti (inutili con il tempo prolungato), ecc. ecc..

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Prima di tutto dovremmo ripensare la scuola e dargli una nuova missione, una nuova organizzazione, un nuovo ruolo sociale. Altrimenti finirà per essere un mausoleo a cui i nostri ragazzi sono obbligati, piuttosto che un luogo della curiosità e della creatività. Per queste preferiranno le opportunità che il mondo gli presenta, che possono anche essere delle minacce senza lo strumento del senso critico. 

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PNR