di Raffaello Morelli

Nei periodi non di guerra e salvo circostanze eccezionali indicate dalla legge, la censura è una pratica illiberale nel profondo. Mirando a controllare in via preventiva  corrispondenza,  opere teatrali, libri, immagini, filmati e quant’altro da diffondere in privato o in pubblico, essa viola l’assunto fondamentale della libertà civile:  il diritto individuale a relazionarsi con gli altri individui per esprimere sé stesso.  Tale diritto sottrae la convivenza tra i cittadini al controllo dell’autorità pubblica. Di più, attribuisce all’autorità pubblica il compito di garantire al cittadino di non esser soggetto ad un controllo preventivo, se non nei limiti di quanto legittimamente disposto dai magistrati.

La libertà del cittadino di potersi esprimere come preferisce, è il fulcro della libertà civile. L’una non  può esistere senza l’altra. Ovviamente, siccome la natura umana è la diversità di ciascun individuo e a livello primordiale questa si accompagna all’anteporre le proprie esigenze ad ogni altra cosa, per convivere è indispensabile vi siano norme, unitamente ad una specifica formazione culturale, che inducano all’esercizio della diversità in termini di reciproca tolleranza per l’altrui libertà. In tal modo, e non con l’obbligo di seguire la tradizione che non garantisce di essere adeguata alle necessità dei tempi,  il conflitto tra gli individui – sempre presente, anche nei migliori rapporti affettivi – si svolge nel pieno rispetto delle due personalità, consentendo il successivo prevalere in base ai risultati. Invece un’autorità che controlli in anticipo parole e azioni, riduce la libertà dei cittadini fino ad annullarla.

Gli autoritari furbi (ma anche i democratici sempliciotti che pospongono la libertà all’ordine sociale) sostengono che il controllo preventivo della censura permetterebbe più sicurezza. I liberali non cadono nella trappola del ridurre i diritti costituzionali adducendo come motivo l’evocare la lotta al terrorismo o il contrastare la malavita o il mantenere il decoro sessuale o il rispettare le istituzioni.  La censura riporta indietro le relazioni civili a quando con la forza si applicava il conformismo dell’autorità. I liberali non vogliono il conformismo e vogliono giudicare le idee e le  azioni, perché la conoscenza umana si amplia tramite questo giudizio (non col dire “chi sono io per giudicare”, concetto che, dietro la forma umile, nasconde la rinuncia alla centralità delle relazioni umane per sostituirla con la sudditanza ai rappresentanti terreni della divinità).

Dunque, è decisivo far maturare di continuo la cultura della responsabilità delle proprie azioni, che – è giusto ed inevitabile – saranno oggetto di giudizio da parte degli altri cittadini: sempre con la valutazione dell’opinione pubblica e talvolta con un contenzioso civile o penale. Insomma, una società liberaldemocratica è priva di censura. La libertà di esprimersi regna fisiologica e le istituzioni devono impegnarsi nel farla funzionare in ogni momento e nell’assicurare due cose: che la valutazione dell’opinione pubblica sia libera e che i contenziosi si svolgano in modo fluido e in tempi rapidi (il che implica, al giorno d’oggi, un impegno robusto per intensificare i ritmi e ridurre la durata dei processi penali).

La libertà di espressione, che impone di non praticare la censura preventiva, non apre a licenze assurde, come negare i fatti materialmente avvenuti, non rispettare le norme vigenti magari incitando al non rispetto, usare notizie di qualsiasi natura a fine di ricatto.   Quanto al primo punto, la libertà del cittadino non consente di mutare a discrezione i fatti avvenuti (ad esempio, è innegabile la realtà storica dei campi di sterminio nazisti).  Quanto al secondo punto, la libertà del cittadino da il diritto di criticare a fondo le leggi esistenti ma non quello di cambiarle con procedure estranee all’assetto istituzionale vigente. Quanto al terzo punto, la libertà del cittadino  di diffondere notizie non può essere usata quale mezzo estorsivo diretto o indiretto, addirittura anche per cancellare il privato.

Di conseguenza, non si possono escludere in linea di principio norme per sanzionare penalmente a posteriori comportamenti rientranti in quei tre punti. Nel primo perché equivale a dare ai cittadini  notizie false e tendenziose il negare la realtà dei campi di sterminio (mentre sarebbe legittimo – anche se intrinsecamente illiberale – sostenere che la loro esistenza è stata un atto di civiltà). Nel secondo perché  equivale a violare l’ordinamento costituzionale del vivere insieme il provare a mutare le regole non rispettando le procedure previste per cambiarle (mentre sarebbe legittimo – anche se politicamente irrispettoso dell’esperienza storica – trovare in Parlamento la maggioranza per approvare atti negativi, quali la ricostituzione del partito fascista). Nel terzo perché  equivale a contraddire il significato della conoscenza il far dipendere il  rivelarla dall’ottenere o meno  un compenso estorsivo di qualsiasi  tipo (mentre sarebbe legittimo – anche se moralmente opinabile – decidere di non rivelare conoscenze acquisite su fatti antecedenti o in corso).

Nel complesso, la censura è materia estranea alla mentalità liberale e il decidere regole al riguardo richiede  una approfondita valutazione  critica di quali strumenti di intervento istituzionale utilizzare. Ancora una volta, è inefficace, se non controproducente, affrontare la questione censura attraverso l’emotività dei sogni e il sostituire l’utopia alla realtà costruibile.  Perciò in questi giorni i liberali sanno trattenersi perfino dal chiedere la censura sugli ossessivi piagnistei tv per il fantasticato dramma sociale dell’Italia fuori dai mondiali di calcio.

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PNR