di Gianmarco Brenelli

Il commento quotidiano corredato dall’esecrazione delle varie forme di violenza risulta a tratti banalizzato quando indulge ad asserzioni troppo scontate (“ … meglio il dialogo”, “condanna da qualsiasi parte provenga” e via dicendo), con le quali, soltanto a prima vista, non si può non convenire.

In realtà la violenza è connessa alla società, moderna ed antica, e l’analisi dei vari fenomeni non può essere né ipocrita né, come oggi si dice “politically correct”.

La violenza ha varie forme e può essere un concetto connesso con ulteriori categorie logiche quali la legalità e illegalità, la giustizia e la legittimità e, dunque, ancora la soggettività e l’oggettività della valutazione della sua giustizia o ingiustizia. Parliamo così di violenza legale, di Legge giusta o comunque vigente e di violenza illegale.

Il discorso giuridico ha sin dai suoi albori, l’obiettivo di escludere la violenza nei rapporti tra i cittadini attraverso l’uso della forza: ed è così che si pone una contrapposizione tra violenza che è prevista dalla legge e quella che ne è estranea.

Sul punto la prospettiva, per esempio dei rivoluzionari, insiste sulla ingiustizia della legge, in quanto, per esempio, derivante da uno Stato, autoritario, oppressivo o a sua volta oggetto di contestazione circa la sua legittimità.

Certamente lo Stato si arroga l’uso della forza e ne rivendica il monopolio in nome della giustizia: ciò nei confronti dei cittadini, così come di gruppi o addirittura di parti di territorio, quando avviene che suoi rappresentanti di fatto si atteggino a propria volta a Stato.

In questi giorni si è posta la legittimità della violenza del Regno di Spagna nei confronti di una sua parte che rivendicava la propria separatezza sulla base non della Legge, cioè della Costituzione spagnola e della procedura di modifica che essa stessa prevede, ma sulla base del rinvio ad un consenso popolare che avrebbe dovuto esprimersi in un referendum tra i cittadini di quella parte del territorio statale.

Dunque, si è di fronte alla violenza dello Stato contro una consultazione di popolo, che riguarda una modalità diretta della democrazia e che tende ad una nuova legalità da contrapporre a quella originaria.

Le ragioni della Spagna risiedono nella norma e nella sua applicazione da parte dei Giudici mentre i governanti della regione autonoma intendono fondare una nuova legalità. Se dovesse valere la regola del referendum che abroga la Legge, s’istituirebbe un principio di nuova legalità che porterebbe anche a paradossi come avverrebbe ove la seconda città della Catalogna (che invece è per rimanere con la Spagna), rivendicasse a sua volta l’autonomia dalla Catalogna.

Lo scontro in corso, in cui la violenza contro i seggi corrisponde all’Ordinamento Giuridico spagnolo, è usata legalmente contro i ribelli secondo uno scontro che è antico come la civiltà e non è affatto banale, per cui le anime candide possono anche protestare contro i metodi violenti non in quanto tali ma riconoscere che esistono categorie di violenze giuste perché secondo la legge, ben diverse da quelle che avvengono fuori dagli stadi o dalle discoteche.

In realtà il diritto dirime i conflitti, ma quando è il diritto, cioè un Ordinamento Costituzionale, oggetto del conflitto, la violenza con cui reagisce lo Stato rimane legale e tale rimane se prevale nello scontro.

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PNR