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Possiamo ridurre il peso, rinvigorire muscoli e articolazioni, e rifornire la nostra mente di nuova energia. Non è possibile? Invece… Continue Reading

Var Group Convention: Trasformazione Digitale

Guarda l’estratto della Var Group Convention – Living Transformation

La trasformazione digitale favorisce l’innovazione perché dovrebbe abilitare nuovi utilizzi, nuovi modelli di business e anche nuovi prodotti e servizi. La trasformazione digitale supera il semplice utilizzo del digitale, quale strumento per eseguire le operazioni che si è soliti compiere in modo tradizionale – analogico. La trasformazione digitale richiede le competenze digitali ma esse devono essere accompagnate dalla capacità di impiegarle per fare innovazione. Le sole competenze servono a poco, o quantomeno si limitano a digitalizzare i processi esistenti. Con il concetto di trasformazione, il digitale è lo strumento che abilita l’innovazione organizzativa e di prodotto: in altre parole consente di realizzare ciò che prima non era possibile. Il digitale apre nuovi scenari di pensiero, ci aiuta a vedere il mondo in modo diverso. Ciò che già facevamo prima, adesso può essere fatto meglio. Ma questo non basta. Ciò che prima non eravamo in grado nemmeno di pensare, è adesso stimolato dal digitale.

Il motore della digitalizzazione non sono quindi gli strumenti ma è la visione dei singoli attori e la loro capacità di trasferire quel modo di interpretare il mondo al resto degli individui siano comunità o organizzazioni. La tecnologia digitale semplicemente abilita la visione. Questa a sua volta stimola nuovi strumenti digitali.

Sono cambiati gli scenari:

Consumatore. Non è più una massa divisa in classi o ceti ma un singolo connesso ad altri attraverso una rete di interessi. Come coinvolgerlo?

Competitività. Il cliente è anche uno stakeholder, che opera su piattaforme abilitanti che gli consentono di competere con i colossi tradizionali.

Dati. Sono la chiave per rintracciare la rete degli interessi dei singoli consumatori attraverso la quale creare piattaforme abilitanti.

Innovazione. Il processo di innovazione si accorcia, è istantaneo, la generazione di idee si prototipizza nel breve e così viene testata. Più soluzioni sono messe sul mercato, più sono saltate, ma più scalano rapidamente.

Coniugare l’innovazione con il concetto di crescita è un fattore importante ma non connotante in assoluto. Deve diventare uno status permanente, perché innovazione significa soprattutto costruire le condizioni culturali di cambiamento, sulla base della circolazione e condivisione delle informazioni, della capacità di crescita delle conoscenze e di apprendimento collettivo, implementando costantemente la capacità di ottenere risultati concreti.

Sviluppare una cultura digitale quanto più inclusiva è un processo importante che deve essere accompagnato in maniera strategica, perché la crescita dell’Italia non passa di certo dai singoli casi di successo di startup e di Pmi innovative, ma da una pervasività profonda dell’innovazione su tutte le imprese. Sopravvivere utilizzando il digitale o trasformare implementando il digitale.

Guarda l’estratto della Var Group Convention – Living Transformation

Mi Manda Rai Tre – Spreco alimentare, tutti i numeri dello scandalo

Circa un terzo della produzione mondiale di cibo destinata al consumo umano si perde o si spreca lungo la filiera alimentare ogni anno. Tale quantitativo corrisponde ad uno spreco di circa 1,6 miliardi di tonnellate di alimenti (inclusa la parte non edibile dell’alimento); 1,3 miliardi di tonnellate se si considera solo la frazione edibile.

·      510 milioni di tonnellate si sprecano durante la produzione agricola 32%;

·      355 milioni di tonnellate si sprecano nelle fasi immediatamente successive alla raccolta (post-harvesting and storage) 22%;

·      180 milioni di tonnellate si sprecano durante la trasformazione industriale 11%;

·      200 milioni di tonnellate durante la distribuzione 13%;

·      345 milioni di tonnellate si sprecano al livello del consumatore (a livello domestico e nella ristorazione) 22%;

Complessivamente, circa il 56% delle FLW (Food Losses and Waste, Sprechi e Perdite Alimentari secondo la definizione della FAO) avvengono nei Paesi Sviluppati; il restante 44% nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS). Mentre lo spreco procapite a livello del consumatore in Europa e Nord-America è circa 95-115 kg/anno; nell’Africa sub-Sahariana e nel Sud-est Asiatico tale valore è di circa 6-11 kg/anno (FAO 2011).

Cosa significa in termini di impatto ambientale?

Acqua: Il quantitativo di acqua richiesto per produrre il cibo che viene sprecato ogni anno nel mondo è pari a circa 250.000 miliardi di litri. Un quantitativo sufficiente per soddisfare i consumi domestici di acqua di una città come New York per i prossimi 120 anni.

Suolo: L’estensione di suolo agricolo necessario per produrre il cibo sprecato ogni anno nel mondo è pari a circa 1,4 miliardi di ettari, circa il 30% della superficie agricola disponibile a livello globale.

Cambiamenti climatici: Il cibo sprecato ogni anno nel mondo è responsabile dell’immissione in atmosfera di circa 3,3 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente (CO2eq). Se lo spreco alimentare fosse un paese, sarebbe il terzo emettitore mondiale dopo USA e China.

Cosa significa in termini di impatto economico?

Il valore economico del cibo sprecato a livello globale si aggira intorno ai 1.000 miliardi di dollari/anno. Ai costi “vivi” della produzione alimentare vanno aggiunti i costi “nascosti”, la cui valutazione è stata effettuata dalla FAO e pubblicata nello studio “Food Wastage Footprint – full costs accounting”. Nell’analisi economica sono stati considerati aspetti “inediti”, come i costi imputabili ai conflitti legati al controllo delle risorse naturali, al trattamento di patologie legate all’impiego di pesticidi in agricoltura, alla depurazione delle acque, alla perdita di habitat naturali e dei relativi servizi eco-sistemici, agli effetti dei cambiamenti climatici e della riduzione della disponibilità di acqua, ai processi di erosione e di riduzione dello stato di salute dei terreni agricoli, ai sussidi pubblici alla produzione alimentare. La stima che ne deriva (2.600 miliardi di dollari) tiene conto solo in parte dei “costi nascosti” dello spreco alimentare a livello globale. Molti altri aspetti non sono stati presi in considerazione per la mancanza di metodologie di stima affidabili.

In aggiunta al miliardo di dollari di valore del cibo sprecato, lo studio FAO stima che, limitatamente agli aspetti considerati,

·      i costi ambientali raggiungano i 700 miliardi di dollari;

·      i costi sociali raggiungano i 900 miliardi di dollari.

Anche in Italia la situazione non appare rosea. Secondo gli ultimi dati ISTAT la percentuale della produzione agricola rimasta nei campi ammonta al 3,25% del totale (17.700.586 tonnellate). La percentuale più alta della produzione non raccolta è quella dei cereali.

Nell’industria agroalimentare lo spreco medio ammonta al 2,6% del totale, pari a circa 1,9 milioni di tonnellate di cibo (escludendo l’industria delle bevande). I prodotti scartati vengono tendenzialmente gestiti come rifiuti o utilizzati per la produzione di mangimi, e non destinati invece alla ridistribuzione alle fasce deboli della popolazione. La maggior parte degli sprechi di cibo è riscontrabile nell’industria lattiero-casearia e nella lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi.

Per quanto riguarda la fase della distribuzione (fonte Last Minute Market), relativamente alla quantità di cibo “gettato via” da parte dei mercati all’ingrosso (centri alimentari e mercati ortofrutticoli) e della moderna distribuzione, emerge che nel 2009 in Italia sono state sprecate 263.645 tonnellate di prodotti alimentari (per un totale di 900 milioni di euro), il 40% delle quali è costituito da prodotti ortofrutticoli.

Al livello del consumatore finale, i dati (fonte ADOC – Associazione per la difesa e l’orientamento dei consumatori) mostrano che vengono mediamente sprecati:

– il 35% dei prodotti freschi;

– il 19% del pane;

– il 16% di frutta e verdura.