decennio nero

Decennio NeroLuigi MazzellaPNR70 

Il primo capitolo del libro Il Decennio Nero degli Italiani (sottotitolo: dal Porcellum al Rosatellum) – Quaderno n. 1 dell’Associazione culturale “Liberalismo Gobettiano” , edito da Avagliano . Il libro è acquistabile qui

I quaderni saranno presentati il 24 Maggio 2018, alle ore 18:00, presso la Sala da Feltre in Via Benedetto Musolino n. 7 – Roma (di fronte al Ministero della Pubblica Istruzione di Viale Trastevere.
Nel corso della trattazione del volume, naturalmente, il discorso cade anche sui due Paesi Anglosassoni, Regno Unito di Gran Bretagna e Stati Uniti d’America, che rappresentano gran parte del mondo occidentale. Dei due il secondo,  per ragioni geografiche (ma forse  non solo), non ha mai fatto parte dell’Unione Europea (se ne avesse fatto parte, l’Unione avrebbe avuto, ovviamente, un altro nome); e il primo ne è uscito di recente con la cosiddettaBrexit.
Uno sguardo all’intero Occidente, mi sembra utile, a questo punto, per capire meglio il nostro maledetto “decennio”. Ovviamente, nel presentare il libro il 24.5.2018 al centro “Da Feltre”, userò un linguaggio il più possibile piano e comprensibile: da esso non mi discosterò neppure in queste brevi note.
Una diversità tra la cultura dominante nella parte continentale dell’ Europa, da un lato, e i due Paesi anglosassoni, dall’altro,  v’è sempre stata.
Il vecchio Continente, pur avendo le sue origini politiche nell’empirismo pragmatico dei Romani degli ultimi due secoli della Repubblica, s’è discostato nei tempi dell’Impero (e, ancor più, in quelli della sua rovinosa caduta) da quel  luminoso esempio.E ciò, a causa, prima, di pacifiche migrazioni mediorientali (ebraiche e cristiane), osteggiate da Diocleziano ma poi vincenti, perché favorite dal bisogno di avere mano d’opera a buon mercato; e, poi, di violente invasioni barbariche germaniche.
L’essenza dei principi filosofici alla base della grandezza della Roma Repubblicana era stata raccolta da Tito Lucrezio Caro nel suo prezioso De rerum natura, libro riportato in luce dalla paziente opera di ricostruzione filologica di un monaco negli anni dell’ultimo Medio Evo.
Il volume, accolto con circospetta prudenza in Italia (per alcuni uomini di pensiero, coraggiosamente entusiasti, gli effetti erano stati disatrosi: Giordano Bruno al rogo, Galileo Galilei in galera, Niccolò Machiavelli vituperato), superò, invece, brillantemente le scogliere di Dover e consentì all’Inghilterra di costruire il proprio ordinamento sulla falsariga della res publicaromana. Da Londra al Nuovo Mondo il passaggio fu conseguente: naturalmente, mutatis mutandis, per le diverse condizioni ambientali e umane.
Un Occidente, diviso tra due culture così eterogenee: l’una con radici ormai presso che esclusivamente giudaico-cristiane e l’altra con visioni di chiara derivazione greco-romana, è coesistita come ha potuto, dopo l’epoca della frammentazione feudale, come entità unitaria astratta, solo grazie a uno sviluppo vertiginoso del capitalismo, sin dai tempi della scoperta della macchina a vapore.
Il miracolo compiuto dal liberalismo (prima fisiocratico, poi mercantilista) ha fatto sì che le teorie idealistiche salvifiche (fascismo e comunismo) franassero, nel corso di un secolo definito “breve”, l’una dopo l’altra. Quando, però, il liberalismo è apparso vittorioso su tutto il “fronte Occidentale”, s’è verificato il patatractra la parte Anglosassone e quella Eurocontinentale.
Vediamo in che modo la frattura s’è manifestata.
Gli Anglosassoni, resisi conto che con gli alti salari e il welfare creati, non era più possibile competere con i prodotti manufatturieri di Paesi sotto regime dittatoriale o del terzo mondo, tutti con paghe lavorative da fame, hanno dato una svolta alla loro politica: si sono dedicati alla costruzione solo di manufatti di grande eccellenza qualitativa e soprattutto, grazie all’elettronica e al digitale, alla creazione di beni immateriali e alla fornitura di servizi perfetti. Per salvare il patto sociale alla base della pacifica e fattiva convivenza civile tra i propri consociati, hanno chiuso le proprie frontiere a personale non abbastanza qualificato per il nuovo tipo di attività produttiva; e per proteggere i propri lavoratori ancora necessari per la realizzazione di manufatti, hanno mandato alle ortiche il libero scambio mercantile di merci, realizzate da altri Paesi in condizioni di poca libertà dei lavoratori (autoctoni o immigrati, comunque sempre asserviti e mal pagati).
Gli Eurocontinentali non hanno potuto fare altrettanto, perché il gap tecnologico ha imposto loro di non poter passare alla fase cosiddetta  post-industriale. Hanno dovuto mantenere faticosamente in piedi un’industria manifatturiera non più competitiva nei confronti di quella dei paesi tirannici o a basso sviluppo, ricorrendo a prestiti-capestro e subendo immigrazioni massicce (e spesso selvagge) di immigrati.
A questo punto, il patatraciniziale, però, s’è esteso anche al mondo anglosassone: il polo finanziario e bancario s’è trovato esposto e obbligato a far credito a industrie Eurocontinentali che non erano più in grado di restituire i crediti ricevuti.
I poteri occulti di Wall Street e della City hanno imposto le loro condizioni agli establishmentanglosassoni e a quelli dell’Unione Europea: interventi statali  in favore sia di massicce immigrazioni sia delle Banche in crisi.
Gli establishment inglesi e statunitensi hanno risposto picche al diktatdelle élite finanziarie siacon laBrexit  sia con l’elezione di un osso duro comeDonald Trump.
In definitiva, hanno reinterpretato, a modo loro, il liberalismo, respingendone o restringendone gli effetti globalizzatori e libero-scambisti (no alla globalizzazione umana; no a sacrifici dei contribuenti per sanare le crisi delle banche).
L’Unione Europea è rimasta, invece, incastrata nella morsa dei banchieri e ha imposto ai suoi membri l’austerità, assolutamente impeditiva di ogni crescita, ma ritenuta inevitabile per far fronte con i soldi degli Stati (e quindi dei contribuenti) alle crisi del sistema creditizio e alle spese per l’accoglienza degli immigrati; visti come gli schiavidel terzo millennio, necessari per far fronte al calo di competitività delle industrie manifatturiere per gli alti costi dei salari e del welfare.
Allora, c’è da chiedersi: esiste ancora un polo occidentale unitario e compatto del mondo?
Questa domanda porrò ai presenti nella Sala Convegni  “Da Feltre” il 24 Maggio prossimo.
Dal canto mio, oggi, ritengo che la risposta sia no. Potrà esserci unitarietà soltanto se e quando gli eurocontinentali capiranno la gravità degli errori ideologici (religiosi e filosofici) commessi nel passato, discostandosi dal sano esempio della res publicaromana e, più di recente, da quello dei paesi anglosassoni (post Brexit e post Trump)  ed eviteranno, soprattutto, di perseverare in quegli stessi errori, aggiungendo agli effetti deleteri di un’immigrazione ancora più pericolosa delle precedenti per il suo ancora più intenso fanatismo religioso, la sottomissione al volere di un’Unione burocratica, eterodiretta dalle élite finanziarie e creditizie di Wall Streete della City, nell’imporre un’austerità diretta unicamente a favorire il sistema creditizio.

Decennio NeroLuigi MazzellaPNR70 

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