di Lucrezia Vaccarella

Credo che a tutti sia capitato, nel corso di brevi digressioni “oniriche” dal quotidiano, di formulare ad alta voce il desiderio di ricevere un dono assolutamente impossibile, se non addirittura irreale. Sognare, ad occhi aperti, un viaggio che duri un anno, l’eterna giovinezza o la bellezza… magari un tuffo in un deposito enorme pieno di monete d’oro, come Paperon de Paperoni.

Personalmente, pur non disdegnando alcuna di tali “irraggiungibili” aspirazioni, mi sono sorpresa spesso a desiderare fortemente di possedere il “dono dell’ubiquità”.

Vi sembra banale? Immagino di sì, trattandosi di espediente idiomatico ricorrente nel frasario di chi ne adduce la mancanza a giustificare l’impossibilità di attendere ad un’attività o di presenziare in un luogo, in un’occasione. o, più spesso, una qualche défaillance.

Eppure si tratta di un desiderio che nulla ha a che vedere con impegni disattesi o eventi disertati.

L’ubiquità è sempre stata prerogativa primordiale della Divinità. Non è un caso che un dono di tale natura, limitato alla sola bilocazione, sia stato concesso, secondo la tradizione religiosa, a taluni santi.

Tra quelli più noti ed anche relativamente recenti, si dice che ne fosse stato dotato San Pio da Pietrelcina. Egli era visto contemporaneamente in due luoghi diversi, anche a centinaia di chilometri, per alleviare le pene dei sofferenti o per salvare materialmente vite umane. E’ quanto testimoniato dal soldato cui, nel corso della battaglia il Santo era apparso invitandolo a spostarsi dal punto in cui era, Pare che questi ne abbia seguito il suggerimento e, pochi istanti dopo essersene allontanato, una bomba aveva devastato la zona in cui si trovava quando San Pio gli era apparso. Quindi qualora ci fosse dato di essere presenti, contemporaneamente, in più luoghi, potremmo affermare, senza risultare blasfemi, di essere partecipi della natura divina.

Forse lo siamo già. A pensarci bene il dono dell’ubiquità appare sempre meno un appannaggio esclusivo di Entità extraterrene.
Vi viene in mente qualcosa di altrettanto virtuale eppure a tal punto vero da aver avviluppato ogni andito dell’umana esistenza? Sto parlando della rete, di Internet, un mondo di algoritmi e formule presente su tutto il pianeta, fatta eccezione , ed ho i miei dubbi anche in tal caso, per alcune zone involute dove, più che altrove, non v’è neppure traccia dell’onnipresenza divina.

Nulla a che vedere con la consueta indifferenza della divinità, qualunque essa sia, alle vicende degli uomini. Al contrario, la rete ci osserva, ci prende per mano suscita i nostri bisogni ed orienta i nostri fini pur senza privarci, all’apparenza, del libero arbitrio che quel Dio burbero e barbuto ci aveva lasciato in altri tempi.

E’ così grave che la rete si sia appropriata della prerogativa divina dell’ubiquità? Soffriamo davvero la sindrome del pesce rosso o non è invece vero che, con la rete, sono cresciute anche le nostre prerogative individuali, grazie alla possibilità di accedere ad una quantità innumerevole d’informazioni e di nuove fonti di conoscenza?

Anche adesso, in questo frangente, sono alla mia scrivania e, nello stesso istante, in contatto con il mondo… La rete non limita il flusso del pensiero, non impartisce comandamenti e non minaccia eterne sofferenze se non vi prestiamo osservanza.

Ma che ci piaccia o no, lega gli uni agli altri più di quanto abbia mai fatto qualunque credo religioso che, al contrario. come constatiamo da secoli, troppo spesso è all’origine di odio e divisione.

E se l’ubiquità alla rete già appartiene, neppure noi, singoli individui, siamo così lontani dalla possibilità di beneficiarne.

Fino a ieri ne ero all’oscuro, ma poi ho appreso, potenza del web, che nel 2015, Frank Wilczek, premio Nobel per la Fisica nel 2004, ha ovviato all’impossibilità di essere fisicamente presente alla Nobel week dialogue, partecipandovi sotto forma di robot.

Il Robot era una “Beam- pro” con vaghe sembianze umane e il Fisico lo gestiva direttamente dal proprio computer e, a quanto dichiara, dopo alcune difficoltà iniziali,  salire un gradino, ad esempio, il Robo-Wilczek ha pienamente interagito con gli altri partecipanti.
Incuriosita ho anche dato un’occhiata al sito del produttore dove ho scoperto che il Robot utilizzato dal Nobel è stato ulteriormente implementato all’insegna del motto “Beam yourself anywhere”.

Proiettare noi stessi ovunque..oggi e ora: Yes we can, come avrebbe detto il Presidente Obama.
Buon Natale a tutti.

Lucrezia Vaccarella è Avvocato specializzato nel diritto degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture. Esercita la professione a Roma, in via Liberiana 17

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