di Raffaello Morelli

134 anni dopo il luglio 1883, di nuovo intorno alle 21, c’è stato un altro terremoto a Casamicciola e in tutta l’Isola d’Ischia. Allora, il sisma ebbe una magnitudo 5,9 della scala Richter, morirono  2.313 abitanti (il 54% dell’isola, tra cui, per la cronaca, i genitori e la sorella di Benedetto Croce, estratto con fatica dalle macerie), vi furono 760 feriti, vennero distrutte quattro quinti delle abitazioni. Oggi, nell’agosto 2017, con una magnitudo 4,0 , i morti  risultano  2, i feriti una cinquantina, le distruzioni di edifici non devastanti ma davvero esagerate rispetto alla magnitudo, gli sfollati 2.600, quasi 1.500 turisti in fuga. Oggi, come ammaestrati dall’assurdità del diffuso scandalismo  polemico sugli eventi sismici dell’aprile 2009, si accetta che il verificarsi dei  terremoti non è mai prevedibile esattamente (ed è già qualcosa). Ma ciò non consente di ignorare che terremoti possono sempre verificarsi e di far finta che non esistano gli accorgimenti per ridurne i danni sperimentati da tempo in molti paesi.

Soprattutto perché anche gli eventi sismici tra loro distinti come tipologia – il sisma di Ischia dipende dalla faglia del Tirreno nella zona flegrea a differenza di quelli degli ultimi anni della falda appenninica, dall’Emilia, a Norcia, all’Aquila –hanno tra loro evidenti punti comuni (anche se non sono  il castigo divino per le unioni civili, evocato dal farneticante teologo di Radio Maria).  Uno è che le case si costruiscono ancora senza tener in dovuto conto la sismicità della zona, spesso niente strutture rinforzate, niente reti elettrosaldate, niente staffe per collegare i solai. I criteri antisismici sono quasi sempre trascurati, pure (talvolta principalmente) negli edifici pubblici recenti. Ciò mette in evidenza gravi carenze delle istituzioni pubbliche (incapaci di garantire il rispetto delle norme neppure da parte delle proprie strutture) ma anche dell’opinione pubblica (incapace di assegnare il proprio voto giudicando la gestione concreta dell’Amministrazione di riferimento). Un altro è che i soccorsi funzionano bene a breve ma non nel medio periodo quando occorre riportare alla normalità le zone colpite (in Emilia dopo 5 anni ci sono ancora persone in roulotte; ad Amatrice dopo un anno i cumuli di macerie  sono restati nel punto del crollo). Anche questo mette in evidenza gravi carenze delle istituzioni pubbliche (incapaci di far funzionare la propria macchina burocratica al pari di una qualsiasi impresa privata) ma insieme dell’opinione pubblica (incapace di assegnare il voto in base al giudizio sulla gestione concreta dell’Amministrazione di riferimento).

La conclusione di queste osservazioni è che i terremoti sono imprevedibili ma che né i gestori pubblici né i cittadini operano abbastanza per ridurne i danni attrezzandosi per prevenirli. Sono innegabili le loro responsabilità colpose in quanto conviventi. Quelle più gravi non sono neppure gli imbrogli di carattere penale che riguardano i magistrati (è eclatante il caso, di nuovo ad Amatrice, degli immobili costruiti della stessa ditta sia per il pubblico che per i privati, tra i quali sono crollati solo quelli pubblici). Le responsabilità più gravi si trovano nel clima politico culturale disattento ai problemi sismici esistenti in gran parte del nostro paese (c’è addirittura un cantante che ne incolpa l’UE).

La cultura liberale non può considerare le emergenze sismiche come calamità estranee alla vita ordinaria. Per il motivo che si prefigge una politica della convivenza centrata sulla realtà dei fatti e non sul come raggiungere il potere con il proprio gruppo per ricavarne privilegi, a prescindere dall’efficacia del governare la convivenza. E dunque prende atto che le emergenze sismiche fanno parte della nostra vita e le considera anzi un banco di prova del funzionamento delle istituzioni libere. Regole e strumenti istituzionali servono a favorire le relazioni interindividuali e a prevenire gli ineluttabili danni ai cittadini provocati dagli eventi naturali. E quindi è indispensabile che le istituzioni utilizzino le risorse necessarie per attivare tutte le tecniche antisismiche, tutte le professionalità esistenti numerose dei professionisti italiani, tutti i piani di riparazione dei danni avvenuti: il che richiede risorse adeguate negli ordinari bilanci annuali e non solo quando scoppia il bisogno (con buona pace del governo Renzi che lo scorso inverno pretendeva dall’Europa riconoscimenti speciali per il terremoto). Ed è anche indispensabile che i cittadini verifichino con molta attenzione questo aspetto edilizio: non con indignazioni moralistiche su temi teorici, come condono sì o condono no, ma con giudizi operativi puntuali e prioritari sullo stato del settore in termini civili (ad esempio ad Ischia chiedendo ragione agli Amministratori non del perché  fossero state presentate 2.000 richieste di condono, ma del perché praticamente tutte le pratiche siano restate inevase, vanificando qualsiasi controllo).

Per una vera lotta non verbale al populismo occorrono un’amministrazione pubblica che pratica davvero i suoi compiti nonché cittadini impegnati ad esprimere un voto che sia un giudizio ed un progetto, senza ridursi ad una protesta e ad una speranza.

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PNR