di Mari Serra

Potrebbe essere il titolo di un film, la cui trama sarebbe densa di storia, personaggi controversi e patetici, ma anche aneddoti negli ambiti più disparati. Perché il debito di Roma non è solo il risultato di numeri, ma è l’imbuto dove sono stati fatti scorrere anni di pessime abitudini sociali e di ancor peggiori tecniche di burocrazia applicata da uomini e donne che hanno preferito lasciare puntini di sospensione laddove sarebbero serviti semplici, ma inequivocabili punti e a capo.

E il vaso, ormai ben oltre il colmo, è arrivato a quota 22 miliardi di totale passivo, 13 miliardi di debito consolidato. Un disastro e un problema che non interessa solo i romani, ma tutto il Paese visto che a pagarne le conseguenze è lo Stato e quindi tutti gli italiani.

Roma non è certamente assimilabile ad altre città, non solo per estensione e numero di cittadini, ma anche perché è terra di consumo di tanti abitanti che romani non sono e che comunque gravitano e si muovono in questa città. Un dato di cui è necessario tenere conto anche nel flusso economico di un bilancio dal momento che questa ospitalità genera i suoi pesi e contrappesi nell’erogazione dei servizi e nella vivibilità più in generale di un territorio.

E come questo dato può avere una sua rilevanza, c’è poi la grande incapacità gestionale delle ormai note ‘partecipate’: prima tra tutte Atac, con un debito di 1,3 miliardi di euro, ma anche Ama con un debito altrettanto mostruoso di 1,1 miliardi di euro. A queste sorelle, si aggiungono 27, tra Spa controllate, società partecipate con quote di minoranze e fondazioni, tutti satelliti della galassia romana del Campidoglio, che, nondimeno, hanno pesato e pesano nel bilancio di questa grandissima famiglia del Comune di Roma.

La politica fa fatica a scegliere manager capaci o forse, più facilmente, non ha avuto mai alcun interesse a selezionarli. E’ questo il motivo che la rende responsabile di questo disastro. Quando i conti non tornano, in qualsiasi azienda piccola, media o grande che sia, i vertici saltano e vengono mandati a casa. Certamente non vengono premiati, come succede ancora oggi, con stellari buone uscite o addirittura con posizioni di vertice in altri ambiti.

Il nostro è uno strano Paese, e certe abitudini non hanno riguardato solo la realtà di Roma. Sarà questo il motivo per il quale chi ci guarda da fuori, prima tra tutti l’Europa, vede un popolo di stolti che accettano di vivere alla meno peggio, continuando a pagare tasse che i propri governanti non usano per ripianare il sempre crescente debito pubblico italiano, ma per continuare a foraggiare un sistema che fa acqua da tutte le parti e che continua a non produrre alcun beneficio per i cittadini.

Chi vuole invertire la rotta deve prendere decisioni drastiche e le decisioni drastiche, si sa, sono antipopolari e non aiutano le clientele. Ma il problema è che siamo arrivati all’osso, i soldi pubblici non bastano più a foraggiare la mangiatoia e l’Europa se ne sta approfittando imponendoci un sistema di riforme che da soli non siamo capaci di fare.

 

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PNR