di Pietro Paganini
Tempi, 7 ottobre 2017

Il ministro dell’Istruzione vuole nuovamente riformare la scuola. Dalle premesse sembra che ripeterà gli errori dei suoi predecessori: si limiterà a modificare frammentariamente aspetti certamente importanti dell’organizzazione scolastica ma che hanno poco a che fare con la natura e la capacità di apprendimento dell’individuo, il suo senso critico e la sua capacità di trasformare il mondo. Ridurre gli anni del percorso scolastico per esempio, per velocizzare l’inserimento nel mondo del lavoro ha senso solo se chi lascia la scuola prima ha gli strumenti giusti. La scuola contemporanea dovrebbe, invece, incentivare metodi e pratiche di insegnamento che mettono il bambino al centro della scuola, fornendogli gli strumenti critici e il metodo sperimentale per essere cittadini curiosi, creativi ed intraprendenti, cioè quello che serve per essere protagonisti del cambiamento. La strada intrapresa dal ministro non ci piace. Vogliamo comunque contribuirvi con due semplici proposte che insieme raggiungerebbero anche un terzo obiettivo.

(i) Aboliamo i compiti a casa. Non c’è alcuna evidenza scientifica che i compiti migliorino le conoscenze e aiutino a sviluppare maggiori competenze. Piuttosto il contrario: ciò che si studia a casa, in preparazione di una verifica per esempio, ha breve durata, non viene assimilato, non produce conoscenze, né competenze. Sottrae i ragazzi al gioco e a tutte quelle attività creative e ricreative che la scuola non offre. Obbligano i genitori a sostituirsi agli insegnanti, favorendo quegli alunni che crescono in famiglie con livelli economici e di istruzione più elevati. L’imposizione del lavoro a casa procura solo disagi, sofferenze e stress che alimentano l’odio per la scuola e sopiscono qualsiasi passione per la scienza e il sapere. La Finlandia ha eliminato i compiti ed infatti è in cima alle classifiche Ocse. Per i finlandesi i ragazzi devono poter giocare, creare liberamente, e gioire della vita. Una sperimentazione è iniziata anche qui, acceleriamo i tempi e diffondiamola.

(ii) Riformiamo l’organizzazione didattica, cioè la distribuzione delle discipline previste dagli ordinamenti scolastici in un determinato periodo temporale. Nelle nostre scuole si studia troppo e male, cioè il livello di produttività ed efficacia è scarso. Nei corsi di formazione per adulti si modulano i corsi in base alla capacità di apprendimento dei discenti. Perché non lo si fa per la scuola? I docenti italiani sono i più vecchi d’Europa: nella scuola primaria il 52,7 per cento del corpo docente ha più di 50 anni, nella scuola secondaria si sale al 59,6 per cento (Eurostat, 2017). L’Italia è il paese con il più basso rapporto alunni-docenti, 1 a 10 (circa 700 mila docenti contro 7,7 milioni di alunni). In Germania il rapporto è 1/15. Eppure da noi le classi sono più numerose (circa 25 alunni per classe). Nelle classi numerose si lavora male. Chi fa il tempo pieno (40 ore) è impegnato per circa 1320 ore l’anno (1287 sottraendo il tempo mensa) contro le 700 dei finlandesi e le 613 dei tedeschi. In una settimana i bambini finlandesi, tolte le pause e le ricreazioni (15 minuti ogni ora) fanno lezione per solo 13 ore. I risultati Ocse confermano l’efficacia delle scelte del governo finlandese: l’esposizione prolungata ad attività di apprendimento non produce maggiori conoscenze. Studiare di più non significa apprendere meglio. Non è una critica al tempo pieno, al contrario. È che in Italia è stato male interpretato. Andrebbe occupato con cicli di attività diverse dalla tradizionale lezione frontale, come i laboratori, alternando attività che impegnano le facoltà cognitive con attività che comportano abilità manuali o pratiche. La tradizionale separazione tra sapere e fare va eliminata. Il modo con cui calcoliamo le ore è sempre discutibile, ma la sostanza di quanto esposto cambia poco. La riformulazione dell’organizzazione didattica deve quindi procedere riconsiderando le ore di lavoro. Altrimenti ridurre o aumentare gli anni avrebbe poco senso.

Le precedenti due proposte perseguono anche un altro obiettivo (iii) eliminare le ripetizioni. L’umiliante e paradossale fenomeno delle ripetizioni è la conseguenza della cattiva organizzazione didattica. Come ho evidenziato in uno studio recente con G. Bandini e L. Castellani, le ripetizioni sono la dimostrazione che la scuola non funziona. Sono inutili per le medesime ragioni per cui lo sono i compiti. Ogni alunno apprende in modi e tempi diversi, e questo dovrebbe avvenire a scuola. Il mercato delle ripetizioni vale 800 milioni. Sono risorse sottratte alla scuola. È un vergognoso compromesso politico: un contentino ai docenti per permettere di rimpinguare i salari bassi, e un ricatto alle famiglie per consentire ai figli di superare l’anno. È anche il modo meno dignitoso per giustificare l’insufficienza della scuola scaricando le responsabilità sulle abilità degli alunni (secondo l’Ocse le competenze del 35 per cento dei laureati non sono in linea con quanto richiesto dalle imprese). Due proposte semplici con tre obiettivi facilmente raggiungibili per favorire l’apprendimento, coltivare le conoscenze e migliorare le competenze.

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PNR