di Benedetta Fiani

All’interno del mondo lavorativo esiste un gender gap palese ed inequivocabile. Nei Paesi Ocse la differenza salariale (a favore degli uomini) è del 18%, solamente un membro su sette nei consigli d’amministrazione delle aziende europee è donna. Ma qual è il contesto ideale per misurare la competizione uomo-donna, riproducendo la composizione schiacciante a favore degli uomini, nelle realtà aziendali?

Peter Backus, professore di economia all’Università di Manchester ha utilizzato un dataset di formidabile originalità che utilizza informazioni provenienti dal mondo degli scacchi. Backus e il suo team hanno preso in considerazione partite e tornei di scacchi giocate in tutto il mondo tra il 2012 e il 2013 – parliamo di 57.936 partite giocate da quasi 8000 giocatori diversi provenienti da 154 paesi.

Ma andiamo con ordine.

Quando si cerca di trovare la causa del gender gap, tendenzialmente si procede con tre spiegazioni.

  1. Discriminazione;
  2. Differenza di abilità cognitive;
  3. Differenza di preferenze sul mercato del lavoro.

Tuttavia una letteratura più recente ha suggerito un nuovo fattore decisivo: la differenza nei livelli di competitività tra uomo e donna. Un articolo del 2003 pubblicato sul Quarterly Journal of Economics a firma di Uri Gneezy e Aldo Rustichini ha “dimostrato” che le donne, quando si trovano in un contesto competitivo, tendono ad avere prestazioni peggiori degli uomini. In sostanza, siamo timide nello scontro.

Se questa fosse la spiegazione, la differenza salariale tra uomini e donne sarebbe giustificata da una strategia di management che, puntando sull’ottimizzazione della produttività, finirebbe con l’alimentare un circolo vizioso di gap salariale e sotto-rappresentatività delle donne nei ruoli che contano. Torniamo quindi a Backus e alla sua ricerca Gender competition and performance: evidence from real tournaments, cosa c’entrano gli scacchi con il gender gap, o meglio come setting per questo genere di analisi empirica?

Tanto per cominciare, negli scacchi c’è una forte differenza di genere: solo l’11% dei giocatori di scacchi è composto da donne. Inoltre, gli scacchi sono una delle poche discipline in cui è possibile verificare l’effetto della competizione one to one senza interferenze esterne. È anche un gioco fortemente computazionale, per cui se paragonato al gioco d’azzardo, la fortuna gioca un ruolo del tutto marginale ed è richiesta una grande abilità cognitiva. Per valutare la qualità di un giocatore negli scacchi si usano diversi criteri: Backus in questo caso ha considerato soltanto individui con un Elo (indicatore internazionale di forza relativa del giocatore, che ha valori da 0 in poi) di almeno 2000 punti (quello dei giocatori esperti), per replicare le condizioni di abilità relativa e stress che portano donne e uomini a competere per posizioni di responsabilità e potere all’interno di un consiglio di amministrazione.

I risultati della ricerca ci dicono che le performance delle donne sono del 15% peggiori rispetto a quelle prodotte dagli uomini, ma non perché meno abili o talentuose. Le donne registrano delle prestazioni peggiori quando si trovano davanti ad un uomo, e non perché questo migliori la propria strategia. Sembra che la composizione di genere impatti negativamente sulla prestazione delle donne, in modo assolutamente indipendente dalle loro capacità, capacità che sono in tutto e per tutto comparabili a quelle degli uomini.

L’autore dello studio propone diverse evidenze a favore della teoria degli stereotipi: in un contesto competitivo dove forti stereotipi stigmatizzano determinati soggetti, questi ultimi si trovano sotto una maggiore pressione e finiscono con il peggiorare la propria performance. Ed è proprio ciò che avviene negli scacchi: si riduce l’abilità rilevante di un giocatore compromettendone la concentrazione durante una partita. Dato interessante è che gli uomini, quando si trovano a competere contro una donna, resistono più a lungo durante il match, come se l’orgoglio gli impedisse di venire sconfitti dall’oggetto di uno stereotipo.

In ambito lavorativo, impedire sul nascere effetti di composizione di genere potrebbe avere ricadute positive sulla selezione del personale in base al merito. Anche perché se qualcuno volesse farsi alfiere della discriminazione di genere portando come argomento la presunta predisposizione degli uomini a fare un certo tipo di lavori, potreste avere un argomento empirico decisamente valido per metterlo in scacco. E dargli anche del matto.

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PNR