di Raffaello Morelli

I lavori all’Assemblea annuale ONU e le manifestazioni  collaterali, sono stati presentati come uno scontro pro o contro Trump. Specie la stampa italiana ha inquadrato i servizi nella contrapposizione tra la dottrina del multilateralismo a carattere collaborativo e la dottrina degli interessi nazionali a carattere neoliberista: la prima sostenuta da un’ampia platea  di personaggi pubblici, la seconda dal solo Trump, seppure con vigore  e senza giri di parole. Una simile contrapposizione, oltre che parecchio forzata, non serve  a comprendere i principi motori per costruire la convivenza cui le due dottrine vorrebbero corrispondere.

La dottrina del multilateralismo ha avuto varie formulazioni nei discorsi della rappresentante UE per gli esteri Mogherini,  del Presidente del Consiglio Gentiloni, del miliardario  ex sindaco di New York Bloomberg,  del Presidente francese Macron. In comune c’è il riconoscimento più o meno spinto  delle virtù del multilateralismo, inteso come approccio che parte dall’alto (i rapporti tra gli interlocutori) e non  dai meccanismi dei problemi. La Mogherini ha detto “non parliamo mai di distruggere Paesi, ma di portare pace”. Per Gentiloni “il mondo ha bisogno di una sede multilaterale per affrontare le crisi e le sfide del futuro. Il presidente Usa mette l’accento sugli interessi USA, mentre noi sottolineiamo di più la necessità di un approccio multilaterale”. Lo scopo di Bloomberg è creare un’alleanza di principio e convenienza tra il mondo degli affari e gli obiettivi concordati all’Onu. John Elkann , presidente delle società del gruppo Agnelli, appoggia “il riunire leader di molti settori, da tutto il mondo, per identificare soluzioni per le sfide del nostro tempo”. Una delle relazioni volute da Bloomberg aveva il titolo inequivoco “leadership civica degli amministratori delegati”, ed un’altra “come le istituzioni finanziarie possono favorire la prosperità”. Macron è stato più morbido : “abbiamo molte sfide globali e per tutto ciò abbiamo bisogno del multilateralismo”.

Nel complesso, il multilateralismo viene  presentato come una ragionevole esigenza di collaborazione tra cittadini ma poi, stando ai comportamenti, è usato per costituire una tendenziale oligarchia di poteri al di sopra dei cittadini. Poteri che si confrontano a prescindere dalla rispettiva natura istituzionale civile e che fanno prevalere la ritualità del loro esistere quali centri decisionali dal volto rassicurante, sul rilievo e sull’importanza dei contenuti del confronto, specifici e diffusi nelle popolazioni nonché da loro scelti. Alla lunga, però, i risultati del multilateralismo sono stati e sono crescentemente e visibilmente costosi e inefficaci. Allora, di fronte al proliferare dell’insistita ritualità del multilateralismo, è risorta la dottrina degli interessi nazionali, che appare una chiave di speranza semplicistica ma porta i riflettori sul fatto che il motore dello sviluppo civile si trova verso il basso, verso chi vive i diritti e l’economia (che rispetto all’ONU sono  gli stati nazionali e rispetto a questi sono i cittadini) e verso i problemi concreti, come sono  e non come si vorrebbe fossero.

Affidarsi al contrapporre le due dottrine, equivale a rifiutare l’esperienza. Secondo cui, per rendere migliore il convivere, occorre raffinare sempre più l’estendersi del ricorso alla libertà dei cittadini (e non alle comunità olistiche di potere , tanto più pericolose man mano che si allarga l’ambito territoriale). Gli effetti del ricorso alla libertà sono a cascata, sono certi ma non automatici. Dipendono dalle regole scelte per relazionarsi tra diversi, da adeguare in base ai risultati del conflitto democratico. Così si innesca la libertà di esprimere la propria capacità di intraprendere innovando, che a sua volta innesca la crescita economica non monopolistica da mantenere in equilibrio sotto vari profili. Uno in particolare.  La diversità dei cittadini è connaturata nella loro libertà ma postula la loro uguaglianza nei diritti. Pertanto, quando le politiche  multilaterali dei “grandi”  o degli amministratori delegati o dei finanzieri, enunciano saggezza e teorica ragionevolezza ma creano quale effetto secondario la diminuita uguaglianza dei cittadini nei diritti, allora i dati sperimentali indicano un aumento dell’opporsi dei cittadini toccati dall’avere meno diritti. Un aumento che diviene esponenziale quando la diminuzione dei diritti supera un certo livello.

Una cosa così accade con la globalizzazione concepita dalle corporazioni mondiali e da molti grandi amministratori delegati propensi a trasformarsi in leader civili, senza averne l’investitura. In occidente si formano diseguaglianze rilevanti nei diritti e ciò induce gruppi di cittadini sempre più ampi ad una sfiducia sempre più larga verso le istituzioni, i gruppi dirigenti e le burocrazie pubbliche.

Rispetto a tale situazione, i fautori del multilateralismo fanno due danni. Uno col diffondere l’idea (anch’essa illiberale in quanto fomenta il ribellismo) che i diritti si basano sul pretenderli e non su autonome iniziative responsabili;  due, altrettanto grave, con lo snobbare tale situazione liquidandola come populista. E’ vero che  spesso troppi di quei cittadini meno uguali nei diritti pensano che basti segnalare un disagio per risolverlo. Ma disconoscere tale disagio, è il modo più sicuro per irrobustirlo e dare una forza civile a chi non ha progetti per curarlo. Ad esempio, negare le condizioni reali (oggi nascondendosi dietro l’opporsi a Trump), è l’inizio del disgregarsi di una libera convivenza. Di fronte a Kim Jong-un che lancia missili intercontinentali e fa grossi esperimenti nucleari sottomarini nel Pacifico, definirlo solo un leader locale come auspica lo Washington Post o dire che l’UE “porta la pace” non specificando come, ricorda oggettivamente la politica delle concessioni pacificatrici verso Hitler (accordi di Monaco) fatta dal Premier inglese Chamberlain ottanta anni fa, già all’epoca bollata da Churchill: “ha avuto il disonore e avrà la guerra”.

Pretendere che contrapporre multilateralismo e neoliberismo costituisca la foto della realtà, rimuove l’impegno a fare regole duttili per rendere funzionante al meglio quel conflitto democratico tra i cittadini, che si è dimostrato il sistema più efficace perché la libertà porti allo sviluppo di tutti. E’ il metodo “a passo a passo” prescelto dall’Europa dei Trattati di Roma, un po’ pasticciato 35 anni dopo a Maastricht ma che tutt’oggi resta il progetto più vitale di organizzare dal basso il convivere tra cittadini sovrani. Anche l’UE, siccome per coerenza è aperta al mondo, soggiace alle ventate multilateraliste o neoliberiste di un potere incline a chiudersi e quindi anche alle conseguenti  folate populiste. Il danno più forte di queste ultime è stata la Brexit. Peraltro – come palesa il discorso in pompa magna tenuto dalla May non casualmente a Firenze venerdì 22 scorso –  anche qui, perfino in una democrazia più antica della nostra, le pulsioni populiste hanno portato ad una protesta contro le burocrazie e i ritardi di Bruxelles che ha vinto senza programma. Ed oggi il governo inglese tenta (negandolo) di immaginare (senza dire come) di non lasciare l’Europa stando fuori dell’UE. Ma dopo che la Gran Bretagna ha respinto il criterio UE del confliggere per costruire istituzioni dal basso e ha preferito star da sola, non si capisce per quale motivo Londra dovrebbe godere, in campo economico e dei diritti, dei privilegi UE rispetto agli altri paesi del mondo alleati UE (vedi il recentissimo accordo di libero scambio UE – Canadà). Contraddirebbe il criterio della scelta responsabile e delle sue conseguenze

Abbandonando la contrapposizione distorta tra multilateralismo e neoliberismo, va perseguita la strada UE costruita a passo a passo  sul rapporto conflittuale  tra i cittadini secondo le regole, abbattendo ogni conformismo e misurandosi sui progetti di ciascuno (individuo e nazione) e sui risultati indotti. Nonostante tutte le difficoltà emerse, l’UE ha il DNA per frequenti mutamenti anche nelle sue norme, che diminuiscano le rigidità strutturali e agevolino lo sviluppo della conoscenza dei suoi cittadini mediante un’istruzione più dinamica e più critica volta al risolvere i problemi. Cominciando da quelli prioritari delle fonti di energia e del mantenere una rotta molto attenta al rispetto delle condizioni di libertà individuale e di uguaglianza nei diritti, al fine di evitare il formarsi del disagio civile, sempre in agguato. E’ la medicina più sperimentata contro il populismo.

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PNR