di Maria Serra

A quanto ammontano e a chi sono destinati i fantomatici fondi europei di cui si fa un gran parlare dalla politica dei talk show e dagli entourage che vi gravitano intorno a diverso titolo e nei diversi settori? Qualche dato su cui riflettere e che possiamo condividere senza pericolo di smentita: l’Italia è in coda nella spesa per il piano 2014-2020: un piano da 42,7 miliardi cui è stato utilizzato fino ad aprile 2017 solamente l’1,2%. Significa che l’Italia ha letteralmente gettato alle ortiche 42 miliardi che potevano essere utilizzati dai nostri imprenditori, per attività sociali, per l’industria, per l’agricoltura e più in generale dalla nostra piccola e media impresa.

Se poi confrontiamo questo dato con il risultato dello studio pubblicato proprio in queste ore dalla Cgia di Mestre, c’è da inorridire: negli ultimi otto anni si sono perse in Italia quasi 158.000 imprese attive tra botteghe artigiane e piccoli negozi. Di queste, oltre 145.000 operavano nell’artigianato e poco più di 12.000 nel piccolo commercio. La stima ha precisato anche che a seguito di queste chiusure abbiano perso il lavoro circa 400.000 addetti.

Ma se uno più uno fa due, non sembra che questa operazione valga per tutti. Perché quindi questi fondi non vengono investiti o redistribuiti, senza voler fare torto alle rispettive dialettiche di destra e di sinistra, come sarebbe doveroso che fosse? Non pretendere una risposta è già di per sé un crimine. Perché la risposta esiste e risiede nel malgoverno della classe politica che, sia a livello nazionale che regionale, non svolge e/o ha rinunciato a quel ruolo di intermediazione che dovrebbe obbligare loro al totale utilizzo di queste risorse così importanti per un Paese che fa fatica ad uscire dalla crisi e a risalire la china.

Imparare ad utilizzare le risorse europee è infatti la chiave di accesso per riattivare le economie dei territori, per far ripartire l’occupazione e per spingere il Paese ad essere innovativo e al passo con i tempi. Purtroppo nessuno si vuole prendere la responsabilità di insegnare come si percorrono queste autostrade, d’altra parte non c’è una spinta interna nel Paese che si adoperi perché si impari una volta per tutte questi meccanismi di funzionamento che potrebbero aprire migliaia di porte.

Meglio stare fermi. Meglio tenere questo ‘tesoretto’ all’oscuro, affinchè solo pochi intimi e selezionatissimi possano avvalersene. Più andiamo avanti e più è chiara l’intenzione di una politica tutta nostrana che preferisce un popolo inesperto e caprone, evidentemente anche più facile da tenere a bada, piuttosto che una società colta e che sappia cogliere le opportunità del progresso e dello stare insieme in Europa. Intanto in Germania si aprono nuove università, in Finlandia si investe in ricerca e welfare e così, chi più chi meno, in altri Paesi europei che hanno saputo aprire al progresso più velocemente e meglio di noi.

Certo, c’è poco da aspettarsi fintanto che i partiti o i movimenti continueranno a mandare in Parlamento Europeo rappresentanti italiani che non sanno neanche parlare la lingua inglese o che, a malapena, intervengono nelle Commissioni per difendere gli interessi del proprio Paese.

Per non parlare dei fondi europei indiretti, ovvero quelli che dovrebbero essere investiti sul territorio e sulle persone attraverso l’intermediazione delle Regioni italiane che li ricevono e che a loro volta dovrebbero canalizzarli attraverso bandi semplici e di facile accesso per gli operatori economici, per il mondo dell’associazionismo, piuttosto che per i soliti noti o, peggio ancora, per non ben identificati obiettivi. Grazie alla burocrazia che è lo strumento ottimale per nascondere tante clientele, questi fondi rappresentano spesso il tesoretto per chi si sa muovere meglio nei gangli delle rete regionale e degli artifizi fatti di miriadi di carteggi da decifrare e da produrre.

Possiamo allora davvero vantarci di essere un Paese Europeo? La realtà è che non possiamo neanche più vantarci di essere italiani. Lo hanno capito bene anche la Germania e la Francia di cui siamo ostaggio perché privi di una vera cultura europea e perché poco disponibili a voler imparare tutti quegli strumenti che potremmo usare a nostro vantaggio. Di fatto stiamo giocando questa partita stando in panchina, perché non riusciamo a farci rispettare come popolo neanche dai rappresentanti politici che, quando ci viene consentito, andiamo a votare.

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PNR