Il Tirreno, 27 maggio 2017

Sulla confezione trovate “senza olio di palma”. Vi sentite meglio, vero? Poi però leggete le indicazioni nutrizionali e le vostre attese vanno deluse. Quel “senza” nasconde molti “con”. In alcuni casi addirittura, i grassi saturi tanto deprecati nonostante siano necessari in una dieta bilanciata, sono presenti in quantità maggiori. L’olio di palma non fa male e soprattutto è tra le coltivazioni più sostenibili. Informiamoci, confrontiamoci, leggiamo cosa riportano gli studi scientifici, prima di farci ingannare da quella che rischia di essere una bufala storica.

La guerra all’olio di palma è cominciata in Francia per ragioni commerciali. Il governo francese sotto la pressione dei produttori di olio di colza ha provato a limitarne l’uso. L’olio di palma è infatti molto più competitivo della colza in tanti settori. È protezionismo, malattia d’Oltralpe. La guerra al palma si è poi diffusa in Italia dove ha trovato terreno fertile. Alcune imprese alimentari hanno cominciato ad eliminarlo per le medesime ragioni commerciali, cioè per differenziarsi sul mercato rispetto alla concorrenza. Altre le hanno seguite nel momento in cui micro-gruppi ambientalisti e salutisti hanno lanciato la guerra ideologica al palma. Le ragioni sono molteplici, di marketing, commerciali, ma soprattutto il sentimento anti-scientifico che si è radicato in questi ultimi anni nel nostro Paese e che ha trovato nei social media – ma anche nei media tradizionali purtroppo – terreno fertile. Al metodo sperimentale si preferisce l’emotività.

Gli slogan contro il palma sono due: fa male alla salute ed è la principale causa di deforestazione. Falso. La scienza, con centinaia di studi, dimostra che all’interno di una dieta corretta non ha alcuna implicazione per la salute. Per estinguere qualsiasi dubbio, la Commissione Europea fisserà a breve per tutti gli oli, non solo di palma, dei limiti di sicurezza per i contaminanti da processo in alcuni prodotti, ad esempio in quelli per bambini. Intanto questi contaminanti sono già stati ridotti o addirittura eliminati dalle aziende più virtuose che infatti continuano tranquillamente ad usare il palma.

Le coltivazioni di palma sono le più sostenibili, cioè hanno una produzione per ettaro superiore. Terminare la produzione di palma, come alcuni ambientalisti chiedono, non risolverebbe il problema della deforestazione. Al contrario lo amplierebbe. Piantagioni meno sostenibili sostituirebbero le palme. Il desiderio di sviluppo sociale e crescita economica dei paesi produttori non possono e non devono essere fermati. Le piantagioni danno lavoro a centinaia di migliaia di famiglie che in pochi anni hanno migliorato le proprie condizioni. Piuttosto, come si sta già facendo, va favorita la produzione di olio di palma sostenibile. La Malesia per esempio, il secondo produttore al mondo, ha proibito ogni forma di deforestazione, promuovendo soluzioni sostenibili. Greenpeace e WWF sostengono l’olio di palma sostenibile. Ma è un processo lungo, che richiede tempo. In Europa abbiamo impiegato secoli per coltivare una coscienza sensibile all’ambiente, questi paesi ci sono arrivati in molto meno tempo. Vanno incoraggiati, non umiliati.

Piuttosto che assecondare il boicottaggio dell’olio di palma e la diffusione di pregiudizi e notizie false, le istituzioni dovrebbero sostenere gli sforzi della filiera dei produttori e utilizzatori di questa materia prima e promuovere la scienza e la libertà dei cittadini, soprattutto se sono bambini.

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PNR