La Stampa, 24 dicembre 2016 –

Perché un giovane dovrebbe rimanere in Italia? La questione dei cervelli in fuga va ribaltata. Dubito che, in regime di circolazione diffusa, si possa elencare una serie di ragioni tanto valide da convincere un individuo carico di voglia di fare a restare qui, al di là degli affetti. Non siamo più in grado di presentare un’idea di futuro né uno spazio per progettare il domani.
Il mercato del lavoro è stagnante e fatica a generare nuove professioni, così come non riusciamo ad offrire un welfare accettabile. Le organizzazioni produttive stentano a rinnovarsi automatizzando e digitalizzando i processi (si vedano gli indici Desi e Ocse). Il mercato è bloccato da logiche clientelari, un cancro che non si limita alla pubblica amministrazione, ma che ormai coinvolge il settore privato. Logiche che sono il riflesso della cultura campanilistica per cui è meglio assumere il figlio dell’ amico anche se mediocre, rispetto al bravo professionista ma sconosciuto. Il familismo è nemico del merito. La burocrazia asfissiante scoraggia la libera iniziativa sopprimendo l’ intraprendenza che è caratteristica dei più giovani. La scuola che nega da tempo il metodo scientifico e la sperimentazione non aiuta a coltivare il senso critico e finisce per favorire un sapere preconfezionato che respinge la curiosità e la creatività che sono invece lo spirito che dovrebbe guidare i giovani ad esplorare il mondo.
Siamo l’idealtipo della Mediocrazia: la mediocrità è il pensiero dominante che affossa qualsiasi proposta alternativa di interpretare il mondo. Fuori dall’Italia non c’ è il paradiso, ma si sta indubbiamente meglio (nel senso di meno peggio). Non si ha la fortuna di vivere, spesso inconsapevoli, tra le straordinarie opere dell’ ingegno umano passato, ma si prova a scoprire l’ignoto e a costruire il futuro. Non illudiamoci, anche fuori da qui contano le reti di relazioni, ma c’ è tanto spazio per la libera iniziativa e chi vuole perseguire un sogno o un obiettivo è stimolato a farlo.

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PNR