Il primo martedì dopo Brexit è quel giorno infausto in cui è d’obbligo iniziare a mappare e misurare la nuova Europa. Il compito principale di Bruxelles, nei mesi precedenti al voto per il referendum sulla permanenza o meno della Gran Bretagna nell’Unione Europea, sarebbe dovuto essere quello di monitorare e attenzionare gli umori oltre Manica con tutti gli strumenti del caso, ed evitare di farsi trovare non solo sbigottita ma, peggio ancora, impreparata. Ma come al solito l’Unione Europea si è distratta.

L’errore peggiore che si potrebbe commettere in questo momento è quello di indugiare; bisogna mettere al bando la filosofia e gli esercizi di straziante retorica, accelerare i processi e le negoziazioni perché l’economia reale subisce i duri contraccolpi dell’incertezza su cui la politica europea si trova ad operare. L’unica figura operativa, al di là dei proclami istituzionali, e che può dare delle risposte concrete è il Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, che non è a capo di organismo europeo con funzioni di indirizzo politico, l’ennesima contraddizione del sistema europeo.

L’ondata di retorica populista ed antieuropeista ha trovato terreno fertile negli spazi vuoti che hanno aumentato le diseguaglianze economiche e sociali e alimentato sacche di povertà. Parlare di Stati Uniti d’Europa è una meravigliosa utopia, oggi siamo ancora un’Unione in cui la rappresentanza delle singole identità nazionali ha pericolosamente il sopravvento sulla società aperta di cui sono figli i nostri propri figli. Ancora adesso l’Europa si muove in ordine sparso, quando invece servirebbe mettere mano ad un nuovo sistema di sviluppo europeo, dal momento che il Juncker Plan ha fallito su tutta la linea. Le istituzioni europee sono chiamate ad affrontare una lunga serie di temi decisivi per affrontare una maggiore integrazione, ed è qui che serve un’Unione.

Potete rivedere qui il mio intervento a Studio24, martedì 28 giugno 2016.

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PNR